13 ottobre 2025 - Alle 7.07, dopo 736 giorni, Hamas ha iniziato a liberare i primi ostaggi. Alla Croce Rossa ne sono stati consegnati sette, poi è toccato agli altri 13.
Accordo storico: verso la liberazione degli ostaggi e la fine della guerra
Netanyahu: “Con l’aiuto di D-o, riportiamo tutti a casa”. Trump: “Un grande giorno” - di Samuel Capelluto
Ore decisive in Medio Oriente. Nella notte tra mercoledì e giovedì, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato ufficialmente che Israele e Hamas hanno firmato la prima fase del piano di pace americano, aprendo così la strada a una fine della guerra nella Striscia di Gaza e al rilascio imminente di tutti gli ostaggi israeliani.
In un post pubblicato sulla sua piattaforma Truth Social, Trump ha dichiarato:
“Sono molto orgoglioso di annunciare che Israele e Hamas hanno firmato la prima fase del nostro piano di pace. Tutti gli ostaggi saranno liberati molto presto, e Israele ritirerà le sue forze fino a una linea concordata, come primo passo verso una pace forte, stabile e duratura. Tutte le parti riceveranno un trattamento equo. Questo è un grande giorno per il mondo arabo e musulmano, per Israele, per i Paesi della regione e per gli Stati Uniti. Ringraziamo i mediatori di Qatar, Egitto e Turchia che hanno lavorato con noi per rendere realtà questo evento storico e senza precedenti. Beati i costruttori di pace”.
Quasi in contemporanea, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha scritto:
“Con l’aiuto di D-o, riportiamo tutti a casa”.
“Un grande giorno per Israele. Domani convocherò il governo per approvare l’accordo e riportare a casa tutti i nostri cari ostaggi.
Ringrazio i coraggiosi soldati dell’IDF e tutte le forze di sicurezza: grazie al loro coraggio e al loro sacrificio siamo arrivati a questo giorno.
Ringrazio dal profondo del cuore il presidente Trump e il suo team per il loro impegno in questa sacra missione di liberazione dei nostri ostaggi.
Con l’aiuto di D-o, insieme continueremo a raggiungere tutti i nostri obiettivi e ad ampliare la pace con i nostri vicini”.
Secondo fonti saudite e libanesi, la firma ufficiale dell’accordo di cessate il fuoco è prevista per oggi alle ore 12:00 al Cairo, con la partecipazione delle delegazioni israeliana e di Hamas. Le ultime ore sono state caratterizzate da un clima di ottimismo crescente: i negoziati si sono conclusi con la definizione dei dettagli tecnici e linguistici dell’intesa, dopo settimane di trattative complesse.
Il primo passo concreto sarà il rilascio simultaneo di 20 ostaggi israeliani vivi, previsto tra sabato e domenica, accompagnato dalla restituzione di alcuni corpi di ostaggi caduti. Gli altri verranno riconsegnati in fasi successive, secondo tempi stabiliti nell’accordo.
L’annuncio è stato accolto con emozione in Israele. Le famiglie degli ostaggi hanno espresso sollievo e speranza: “Il governo deve approvare immediatamente l’accordo. Ogni ritardo può costare caro agli ostaggi e ai soldati” ha dichiarato il Quartier Generale di alcune delle famiglie. “La nostra responsabilità morale e nazionale è riportare tutti a casa, vivi e caduti”.
Le immagini provenienti dall’Egitto mostrano scene senza precedenti: membri delle delegazioni israeliana, palestinese e dei Paesi mediatori che si stringono la mano e si abbracciano. In una foto simbolica si vede il generale israeliano in riserva Nitzan Alon, oggi incaricato dei negoziati sugli ostaggi, stringere la mano al Primo Ministro del Qatar, a dimostrazione della portata storica dell’intesa.
Israele entra in questa fase con una posizione chiara: difendere i propri principi e riportare ogni cittadino a casa, senza rinunciare alla sicurezza nazionale. L’accordo — frutto della determinazione israeliana — segna un passaggio potenzialmente decisivo verso la fine della guerra iniziata due anni fa, alla vigilia di Simchat Torah, il 7 ottobre 2023, giorno che ha cambiato per sempre la storia del Paese e del popolo ebraico.
Per milioni di israeliani e per la diaspora ebraica nel mondo, questo è un momento carico di speranza, di fede e di unità. La strada verso una pace duratura è ancora lunga, ma il ritorno degli ostaggi rappresenta una svolta storica, un raggio di luce che squarcia mesi di oscurità e dolore, e che riaccende la fiducia nella forza di un popolo che non smette mai di lottare per la vita e per la libertà.
(Shalom, 9 ottobre 2025)
CHI HA VINTO E CHI HA PERSO A GAZA?
Quando finisce una guerra bisogna prima di tutto rendere onore a chi ha perso e nella guerra di Gaza i veri sconfitti non sono solo i terroristi ma i media occidentali. Due anni passati a rilanciare le cifre di Hamas, i video di Al Jazeera, le fake news costruite nei laboratori della disinformazione compresi quelli russi e cinesi.
Un racconto che ha trasformato la i carnefici in vittime e Israele in aggressore. Ora che la pace si festeggia sia a Gaza che a Gerusalemme non sanno spiegare i media come mai la realtà non si è piegata ai loro desideri.
A seguire ha straperso (purtroppo) la sinistra globale e nazionale priva di un pensiero autonomo che si è accucciata dietro quella narrazione, non ha visto il 7 ottobre per quello che era, cioè una
feroce aggressione contro l'Occidente e ha preferito perdersi nei suoi rituali inutili e minoritari, le crociate di Greta, lo gnègnè dell'Albanese, il folklore delle flottiglie, gli scioperi generali sul niente.
Poi ha perso l'Europa, la grande assente doveva essere la culla della pace e diventata una spettatrice impotente, incapace di incidere e di fare la storia e così la pace si fa senza di lei.
Chi ha vinto allora è piuttosto semplice. Ha vinto Netanyahu, che ha tenuto insieme il paese, ha sconfitto Hamas e ha dimostrato che la fermezza, non la debolezza, costruisce la pace.
Ha vinto Trump, che con il suo stile anomalo ha compreso tutti, arabi compresi, a scegliere la stabilità invece del fanatismo. E infine ha vinto l'Occidente, ma a sua insaputa perché Trump e Netanyahu hanno difeso i suoi valori che poi sono i nostri valori, quelli di libertà, democrazia, diritti civili.
Il Riformista
Sulla guerra a Gaza – che è stata una guerra, e non altro – è necessario fare un bilancio. O, forse, due bilanci distinti.
Perché una cosa è la guerra combattuta da Israele contro Hamas, e un’altra è la narrazione di quella guerra, che si è sviluppata altrove e secondo logiche del tutto diverse.
Per quanto riguarda il conflitto sul terreno, credo si possa dire senza mezzi termini che Israele ha vinto.
Il 7 ottobre 2023 Hamas ha deliberatamente iniziato una guerra che prevedeva:
1. L’utilizzo dell’intera popolazione di Gaza come scudo umano, trasformando i civili in una risorsa strategica;
2. Il coinvolgimento dell’intero “asse della resistenza” – Hezbollah, le milizie houthi, le forze iraniane e quelle irachene – in un’unica offensiva regionale contro Israele.
A 2 anni di distanza, il risultato è opposto alle aspettative di Hamas. Il suo apparato militare è stato in larga parte distrutto; la catena di comando dispersa o eliminata; le infrastrutture neutralizzate, almeno in parte.
Sul piano geopolitico, Israele è riuscito a ridimensionare la potenza imperialista regionale (l’Iran) e a ridurre al minimo l’efficacia delle sue emanazioni: Hezbollah è quasi obliterato, gli Houthi sono stati colpiti duramente, le milizie sciite in Iraq sono in ritirata, e persino la Repubblica islamica dell’Iran ha perso lo scontro diretto, soprattutto sul piano dell’immagine.
2. La guerra nella narrazione
Ma c’è un secondo fronte, attivo e vivissimo: quello del palestinismo occidentale.
Per lungo tempo ho pensato che questa fosse semplicemente la continuazione propagandistica della guerra di Gaza, una sua estensione simbolica in Europa. Oggi credo sia un errore considerarla tale.
Il palestinismo non riguarda Israele e Palestina in senso realistico, ma in senso metafisico e simbolico.
È una guerra che si combatte dentro le società occidentali, e i suoi protagonisti non sono i popoli in conflitto in Medio Oriente, bensì le nostre stesse fratture interne: il rancore sociale, l’odio verso l’Occidente, la ricerca di una causa assoluta che giustifichi la distruzione dell’ordine esistente.
Dietro questa dinamica ci sono fattori interni – la frustrazione di certe classi sociali, l’anomia politica, l’ideologizzazione del risentimento – ma anche fattori esterni, come il sostegno mediatico e finanziario di potenze revisioniste (in primis il Qatar e la Russia), che hanno tutto l’interesse a indebolire le democrazie europee. Ecco perché, anche se domani si raggiungesse una pace tra Israele e un’entità palestinese, questa seconda guerra non finirebbe.
Non cesserebbero le proteste, né la retorica che le alimenta, perché non è Israele il vero obiettivo.
Il vero obiettivo è l’Occidente stesso: la sua stabilità, la sua fiducia in sé, la sua capacità di credere ancora nei propri valori.