La spilla sulla giacca di Netanyahu all’ONU non poteva passare inosservata. Mi sembrava la caricatura aggiornata di quelle spille anni Novanta in metropolitana: “Vuoi dimagrire? Chiedimi come”. O forse la risposta postmoderna all’immagine della fondina della pistola che spuntava dalla giacca del premio Nobel Arafat. Quel QR code era un invito urlato. Fermo l’immagine. Impugno il telefono. Inquadro, curioso di capire a cosa “puntasse”.

Scopro che puntava a me: al cuore, allo stomaco, alla testa. Forse all’anima, se dopo aver cliccato sapessi ancora cosa significhi questa parola.
Se potessi tornare indietro, non lo farei. Oppure chiuderei subito. Eppure, il sito era stato onesto: il disclaimer era lì. Ho esitato un istante: “Sono uno di quelli che rallenta sull’autostrada per guardare l’incidente sull’altra corsia? Uno che cerca l’orrore?”. Sembrava dark web. Mi sono ricordato Nietzsche: “E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te”. Io ho voluto scrutare e l’abisso mi ha guardato dentro. Da allora non sono più la stessa persona. Non voglio parlare di Gaza, Netanyahu, Cisgiordania, Flotilla o geopolitica. Parlo solo dello sgretolamento interiore provato davanti a quell’orrore. Il resto, oggi, non mi interessa. Mi interessa solo la sconnessione dentro di me dopo aver visto alcuni video del 7 ottobre.

Un giorno ci sarà un film sul 7 ottobre. Sarà costruito con pazienza: l’ordito della quotidianità con la trama dell’orrore. Racconterà amori, frasi non dette, una discussione domestica, una caldaia che non funziona, l’attesa di un incontro. Un bottone che si stacca dalla camicia e sembra una tragedia. La noia, una colazione qualsiasi, un gioco ripetitivo, i minuti passati ad aspettare un messaggio, il tempo ingannato su TikTok. Poi irromperà il terrore, spartiacque tra narrazione cinematografica e documentario dell’orrore. Il regista dirà di aver discusso se inserire storie di salvezza. Lo sceneggiatore spiegherà perché “superstite” non aveva senso: la speranza era morta. Non volevano raccontare la vita di uno, ma la morte di tutti. Noi compresi. Di sicuro vedrò il film. Rivedrò le scene vere vite seguendo quel QR code: irruzioni, tiri al bersaglio, chi festeggia un colpo andato a segno. Violenze, sangue ovunque, anche nelle camerette dei bambini. Giocattoli insanguinati. Ma niente primi piani dei corpi bruciati: “troppo orrore!”. Meglio mostrarli nei sacchi bianchi. Solo fumo in lontananza: lo spettatore intuirà senza vedere.

A metà film ci sarà la scena di una famiglia che cerca di fuggire. Io sarò quell’uomo che corre col figlio tra le braccia. Morirò nuovamente con lui. Chiuderò gli occhi quando cadrà. Spererò, di nuovo, che almeno il figlio si salvi. Rivivrò l’attimo, illudendomi che il finale cambi.
L’orrore dividerà i secondi prima – in cui ridevano di un viaggio o tacevano imbronciati dopo una discussione – e il secondo dopo: gli spari e l’odio che cancella tutto e rende ridicolo ciò che chiamiamo amore e vita. Guarderemo il cagnolino che scappa e spereremo che almeno lui si salvi. Non vedremo il cane nero abbattuto. Il regista, la scena, voleva metterla, diceva: “Se non ti commuove un bambino, un padre o un’anziana, forse ti commuoverà un cane”. Ma la produzione decise di tagliare. “Troppo orrore, c’è un limite!”.

Un attore racconterà che da quando ha girato il film non dorme più. Che il regista aveva chiesto di vedere i video reali, insieme, prima di girare. Lui però ora si sveglia di soprassalto e gli manca il fiato. Il pubblico si dividerà: “troppo edulcorato”, “troppo crudo”, “incitamento all’odio” – dirà qualcuno – o “solo memoria necessaria”. Un critico lo definirà uno Schindler’s List senza speranza. Qualcuno risponderà che non importa se passerà alla storia: la speranza è solo che, anche grazie al film, quella storia non si ripeta. Ma lo avevamo già sperato in passato. Davanti ai cinema qualcuno distribuirà volantini. Si userà la parola “propaganda”. Qualcuno parlerà di simmetria, di “violenza alternata”. Si diranno le solite cazzate che si dicono quando, invece di ascoltare e capire, ci ostiniamo a parlare.

Il fottuto abisso tornerà a bussare alle nostre porte. Se tornassi indietro non seguirei quel QR code. Serviva una scritta più brutale: “Vuoi davvero vedere cos’è l’uomo? Vuoi sentire l’odio fino in fondo? Vuoi mettere alla prova l’idea che hai della linea che separa l’uomo dall’animale?”. Io li ho guardati, ho sentito l’orrore e ho strozzato in gola qualcosa che ora mi sembra una bestemmia.

Andrea Laudadio - Il Manifesto - 30 settembre 2025



 

Inviato da alex il

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