Ultimamente abbiamo parlato del peccato negli altri e come noi possiamo affrontarlo in obbedienza a Dio, basandoci sulle istruzioni che Lui ci ha lasciato nelle Sacre Scritture. Ora vorrei parlarvi dell’altra faccia di questo problema, cioè del peccato in noi e come Dio se ne occupa.

Il testo che useremo per questo studio sarà il libro di Giona, che abbiamo menzionato brevemente nel discorso precedente. Benché il problema presentato da Giona si adatti bene all’argomento che tratteremo, è comunque un argomento interessante di per sé. Come può Dio risolvere il problema del peccato nei cristiani?
Non c’è bisogno di dire che Lui è sovrano.

Se non fosse così, non sarebbe Dio.

Sovranità significa potenza, di conseguenza, Dio ha il potere di fare di noi quello che vuole. Si può ben capire che, se dovesse esercitare la Sua potenza, potrebbe obbligarci a fare quello che ci ha comandato. Saremmo costretti ad obbedire se Dio esercitasse il Suo potere in questo modo. E’ evidente, comunque, che Dio non agisce in questa maniera; a volte noi pecchiamo e seguiamo i nostri sentieri.

Siamo disobbedienti, e sembra che, almeno inizialmente, Dio non ci costringa ad obbedire. D’altra parte, possiamo immaginare che Dio agisca con noi attraverso un dialogo di questo tipo: «Dunque, Io capisco che non desideri fare questa cosa, ed lo non ho intenzione di costringerti perché sono consapevole del fatto che, se si è obbligati ad agire controvoglia, si subiscono danni psicologici, e Io non voglio danneggiare psicologicamente il tuo piccolo ego o psiche. Lasciamo andare le cose ... ci penseremo su per un certo tempo, e vedremo se cambierai idea ... e se non la cambierai, allora forse dovrò essere Io a prendere provvedimenti».

Ovviamente non è così che Dio agisce di fronte alla disobbedienza di una Sua creatura! Quindi poniamoci l’interrogativo; che cosa fa Dio quando un cristiano decide di seguire la propria strada? E’ una domanda pertinente, perché quando leggiamo il libro dall’inizio riconosciamo, nell’ordine di Dio a Giona un parallelo nel Nuovo Testamento che chiamiamo il Grande Mandato.

Qui Dio chiama Giona a diventare missionario, a lasciare la sua casa e ad andare in un paese straniero dove dovrà proclamare il Vangelo.

Anche a noi Dio ha comandato di fare così, di andare per tutto il mondo e proclamare il Vangelo. Perciò, quando leggiamo nel libro di Giona che lui ha preso la decisione li agire diversamente, stiamo, in realtà, leggendo qualcosa che ci riguarda.

Gli ebrei leggono il libro di Giona nella sinagoga durante il Giorno dell’Espiazione.

In una parte della loro liturgia è detto «Noi siamo Giona»

Ed è proprio così, ogni volta che si presenta un’occasione per testimoniare e non lo facciamo, siamo colpevoli, anche se con una dinamica diversa, alla pari di Giona, avendo fatto la medesima cosa.

Disobbediamo in questo contesto come pure in molti altri.

Non intendo passare molto tempo ad analizzare perché Giona disobbedì. Potremmo supporre che egli considerasse troppo difficile il compito assegnatogli. Però mentre leggiamo il racconto, questo non sembra il vero motivo. Potremmo pensare: “Potrebbe essere a causa del pericolo”. Nel libro di Nahum leggiamo di alcune cose che facevano i niviviti che erano considerati infami a causa dei loro atti violenti.
Quando si ravvedono dai loro peccati, come riportato successivamente nel racconto, è della loro violenza che si ravvedono. Secondo quello che è documentato negli annuali dei re d’Assiria, usavano decapitare e scorticare le loro vittime.

Giona fu mandato a predicare ad una nazione di questo tipo!

Potremmo ben comprendere la sua riluttanza, se fosse dipesa dalla violenza dei niviviti; però il libro non ci dà questa spiegazione. E’ proprio Giona che chiarisce, nell’ultimo capitolo, il motivo del suo rifiuto. Dio gli domanda la causa della sua infelicità e come risposta Giona cita il libro di Esodo, dicendo «Sapevo che, quando mi mandasti a Ninive con un messaggio di giudizio, non fu perché annunziassi loro che sarebbero andati tutti all’inferno; avresti potuto ben farlo senza di me. Mi mandasti, invece, Con un messaggio di giudizio che li avrebbe portati a ravvedersi dei loro peccati per salvarli. E’ per questo motivo che non andai; sapevo che avresti operato un risveglio” Se noi ci domandassimo a questo punto, “Come mai il profeta Giona aveva delle obiezioni rispetto tale possibilità?».

Troveremmo la risposta in quello che Giona pensava dei niviviti: erano i nemici del suo popolo. Lui era ebreo; loro gli oppressori del suo popolo; li odiava e non voleva andare a parlare loro; meno ancora desiderava vederli abbandonare i loro peccati ed essere salvati.
Per questo ribadisco che è un racconto pertinente, non tanto perché anche noi abbiamo ricevuto il Grande Mandato e abbiamo disobbedito, ma proprio perché disobbediamo per la stessa identica ragione. Abbiamo pregiudizi nei confronti delle persone alle quali siamo mandati. Non ci piace il loro stile di vita, la loro moralità, la loro nazionalità o il loro gruppo etnico di provenienza, il loro accento, o qualunque altra cosa.
Dobbiamo ricordare che, quando Dio ci manda nel mondo intero con il messaggio del Vangelo, non ci manda soltanto a persone simili a noi, persone che, secondo il nostro parere, Dio dovrebbe salvare perché sono simpatiche. No. Ci manda, invece, con questo grande messaggio, in tutto il mondo.


I FRUTTI DELLA DISOBBEDIENZA


Nell’introduzione ho affrontato la questione di come Dio si comporta alla luce della nostra disobbedienza. Giona ovviamente disobbedì. Non so come lui abbia potuto pensare di farla franca.

Davide disse nel Salmi, «Se fuggo fino all’estremità del mare, perfino lì la Tua mano mi sosterrà, la Tua mano destra mi seguirà».

Nonostante Giona conoscesse questo testo, cercò di fuggire e pensava di poterci riuscire. Che cosa accadde? Come si comportò Dio con Giona? Prima di tutto bisogna sapere che quando si fugge da Dio, il sentiero che si percorre conduce sempre verso il basso. Nel testo biblico inglese del “Re Giacomo” è ribadito quattro volte che il sentiero di Giona conduceva verso il basso.

«Scese a Gioppa»;

«scese nella nave»;

«scese nella parte bassa della nave»;

e più tardi quando fu gettato in mare è scritto che sprofondò fino alle radici delle montagne, nella parte più profonda della terra.

Purtroppo nella versione NIV (New International Version) la ‘discesa’ è descritta soltanto due volte.

Comunque il messaggio è chiaro, no?

Il sentiero è sempre verso il basso, ma Dio non sempre ostacola questa discesa.

Virgilio, il poeta romano disse: “La discesa verso l’inferno è facile” ed è vero.

Ecco che vediamo Giona fuggire da Dio.

Dio non riorganizza gli astri nel cielo per intimare a Giona a fermarsi chiedendogli spiegazioni in merito; gli permette di andare.

Dio lo lascia libero di andare e il sentiero conduce verso il basso, lo porta al ravvedimento e Giona, infine ritorna a Dio.

Un’altra illustrazione dell’Antico Testamento che va presa in considerazione è l’esempio della moglie di Osea, Gomer. Anche il suo sentiero fu verso il basso. In termini teologici questo concetto è ribadito nella lettera ai Romani, quando dice: «Dio li ha abbandonati», ma ciò non significa che non ci saranno conseguenze all’esterno, perché li ha abbandonati alle leggi dell’universo spirituale, secondo le quali il peccato è sempre distruttivo. Quindi anche il pensiero che troviamo nel libro dei Romani è indice di una discesa - giù, giù, giù.

Questa fu l’esperienza di Giona.

Il primo punto da considerare, quindi, è che la disobbedienza a Dio è disobbedienza alle Sue leggi. Dio permette la disobbedienza, ma esercita la Sua sovranità tenendo fede alle Sue leggi, dato che l’universo è Suo.

La seconda cosa da tenere presente quando si fugge da Dio è che bisogna pagarne il prezzo. Qualcuno potrebbe domandare a questo punto: “Generalmente non si riceve quel che si merita.” Ed è vero. Nessuno di noi riceve pienamente quello che merita, ma ciò non ci permette di peccare senza essere puniti. Pensiamo che sia possibile peccare secondo le nostre regole e farla franca. Inoltre tendiamo a pensare che non peccheremo molto, solo un pò, poi rimetteremo tutto a posto e non ne saprà niente nessuno, neanche Dio se ne preoccuperà
Non funziona in questo modo.

Il peccato porta delle conseguenze, e lo vediamo nel racconto di Giona.

E’ interessante leggere un particolare che sembra di poca importanza: Giona ha pagato il biglietto per il viaggio attraverso il Mediterraneo fino a Tarsis sulla costa più lontana della Spagna, ma non ci arrivò e perse i suoi soldi.

Prendere in considerazione questo principio ci permette di ricordare qualcosa importante: quando si tenta di fuggire da Dio, lo si fa a proprie spese e non si arriva a destinazione. In altre parole quando si cammina in obbedienza a Dio, si arriva a destinazione e Lui provvede il necessario.


I FRUTTI DELL’OBBEDIENZA


Vorrei illustrare la seconda parte con un altro racconto.

Nel secondo capitolo dell’Esodo troviamo narrata la nascita di Mosè.

Nacque da Jochebed, donna che temeva Dio, che amava suo figlio e certamente desiderava tenerlo con sé. Essa, però, viveva in un tempo difficile, nel quale Faraone stava facendo uccidere tutti i primogeniti (maschi) delle famiglie ebree.

Jochebed capiva che, se avesse tenuto Mosè per un certo tempo, prima o poi i soldati l’avrebbero sentito, l’avrebbero preso con la forza e ucciso. Fece, quindi, l’unica cosa che sapeva fare; lo affidò al Signore. E’ come se avesse detto: «Non la mia volontà, ma la Tua sia fatta».

Prese il bimbo in tenera età, lo mise in un cesto e lo collocò tra i giunchi, e a sua figlia Miriam ordinò di osservare ciò che sarebbe successo.

Se riflettiamo sull’ aspetto psicologico di questa storia, sembra evidente che lei non pensava che il bambino potesse essere ucciso. Non avrebbe messo sua figlia in appostamento per assistere all’omicidio di suo fratello; credeva, invece che, in qualche maniera, Dio avrebbe salvato suo figlio. Forse aveva intuito che suo figlio sarebbe diventato un liberatore.

Molti anni di schiavitù erano passati.

Dio aveva annunziato, nella Sua profezia ad Abrahamo, quanto sarebbe durato il periodo di schiavitù.

Lei sapeva che i tempi erano maturi.

Forse c’era qualcos’altro a favore di Mosè.

In ogni caso, si aspettava che Dio lo salvasse.

Durante quest’attesa, la figlia di Faraone giunse al fiume per farsi il bagno. La principessa scorse il cesto, mandò una serva a prenderlo e quando lo aprì scoprì che conteneva un dolcissimo bimbo.

E’ scritto che Mosè era di bell’aspetto, e forse questo particolare è importante perché se fosse stato brutto, avrebbe forse detto: “Ble! Deve essere un bambino ebreo, gettatelo di nuovo nel fiume

Ma Dio aveva dato bellezza al piccolo Mosè, e questa bellezza attirò la figlia di Faraone, che disse: “Lo dobbiamo salvare”.

L’episodio seguente è meraviglioso. Per crescere il bambino sarebbe stato necessario trovare una balia e a questo punto apparse Miriam, che si offrì di trovarne una fra le donne ebraiche.

Miriam andò a prendere sua madre.

Così vediamo che la figlia di Faraone riconsegnò Mosè a sua madre. Cosa sarebbe successo, invece, se lei avesse percepito quale fosse in realtà la situazione, e se avesse detto a Jochebed: “Ora, voglio che tu sappia che ho capito tutto; ho capito che tu sei la madre del bambino, e se questo è il caso, stai disobbedendo a mio padre e ti farò punire severamente. Comunque ti permetterò di tenere il bambino”? Perché sono sicuro che jochebed avrebbe accettato qualsiasi punizione pur di riavere il suo bambino.

Invece è successo qualcosa di meraviglioso; la figlia di Faraone consegnò Mosè di nuovo nelle mani di sua madre con le parole: “Voglio che curi questo bambino per me”, e aggiunge: “Ti pagherà le spese”.

Ecco l’altro lato della storia. Jochebed ha camminò nella via di Dio e disse: «Non la mia, ma la Tua volontà sia fatta» e Dio le diede da fare quello che desiderava e la pagò persino.

Ma ecco Giona, profeta del Signore avrebbe dovuto conoscere meglio di chiunque altro le modalità di Dio.

A lui era stato affidato un compito di grande importanza, portare il Grande Mandato alla città di Ninive.

Lui seguì la propria strada, non arrivò mai a destinazione, e non ebbe neanche il rimborso delle spese del biglietto.

Quindi, ti ricordo di pensarci quando ti viene il desiderio di fuggire da Dio.


LA RESA DEI CONTI


Dio mandò una grande tempesta.

E’ interessante notare qui come Dio iniziò ad agire nei marinai, che, naturalmente erano pagani e forse alcuni di loro provenivano da Ninive.

Si trattava proprio di quel tipo di persone con le quali Giona non voleva avere un ministero. Non s’interessava di nessuno che non fosse simile a lui.

Si occupava soltanto dei giudei.

I marinai, dunque, cercavano di curarsi della loro nave, ma a Giona non importava.

Si addormentò al di sotto del ponte.

Credo che questo modo di fare di Giona assomigli molto a quello della chiesa nei periodi tristi della sua storia.

Per dirlo in altre parole, il mondo sta andando verso l’inferno e la chiesa dorme.

Non ce ne preoccupiamo.

Talvolta il mondo reagisce meglio di noi nei confronti dei problemi.

E’ successo a volte che il mondo sia arrivato in chiesa, dicendo: «Svegliatevi, non vi importa che noi periamo? Fate qualcosa! Pregate il vostro Dio, chiunque Egli sia. Forse il vostro Dio ci potrà aiutare».

Ed è questo ciò che è avvenuto nel caso di Giona.

Che rimprovero!

Ma questo è successo anche ai cristiani in vari momenti della storia della chiesa.

Giona salì sul ponte.

I marinai stavano tirando a sorte per capire chi fosse colpevole dei pericoli che li avevano colti, perché riconobbero che Dio era arrabbiato.

La sorte cadde su Giona.

E’ scritto in Proverbi 16:33 che «...gli uomini tirano a sorte, ma è Dio che determina i risultati». E così avvenne; non fu un incidente. Dio fece in modo che la sorte cadesse su Giona, e tutti gli posero delle domande.

Ecco, questo passeggero, Giona, del quale non sapevano niente era la persona meno conosciuta a bordo di quella nave.

Alla fine dell’interrogatorio, il pubblico lo ascoltava più di quanto non si faccia con un predicatore al convegno di Keswick.

Ascoltavano ogni sua parola con attenzione. Lui, essendo oratore, seppe predicare un buon sermone anche se stava fuggendo da Dio. Predicò a lungo e concluse il suo messaggio con queste parole: «lo sono un ebreo e temo il Signore Iddio del cielo, che ha creato il mare e la terra ferma».

E’ interessante notare un particolare a questo punto; quando la tempesta si alzò (versetto 5) è scritto che i marinai erano «spaventati».

Al versetto 10, dopo la testimonianza di Giona, è scritto che «furono presi da grande spavento».
Perché il loro spavento risultò più grande ora che sapevano che Giona era un profeta di Geova?
Credo che la risposta sia perché avevano sentito parlare del Dio di Giona.

Questi marinai che non erano degli ignoranti. Avevano viaggiato intorno al Mediterraneo, avevano sentito dei discorsi, avevano visitato i porti e avevano ascoltato vari racconti. Sapevano quello che si diceva dell’opera di questo Dio degli ebrei.

Egli aveva tratto gli ebrei dall’Egitto; aveva colpito di piaghe la terra, aveva cambiato l’acqua del fiume in sangue, aveva fatto morire il bestiame e infine, aveva ucciso i primogeniti d’Egitto.

Quando Faraone tentò d’inseguirli con il suo esercito, questo Dio aprì il Mar Rosso, permettendo il passaggio del Suo popolo, e poi fece tornare le acque al loro corso normale, causando l’annegamento di Faraone.

Nelle circostanze attuali per i marinai, pensare a questo suscitava grande spavento! Fece annegare tutti i soldati egiziani.

Dio, in seguito, condusse il SUO POPOLO attraverso il deserto e attraverso il fiume Giordano.

Abbatté le mura di Gerico, fermò il sole e la luna del Suo creato nel cieli durante i giorni di Giosuè e Gedeone.

Ecco quello che fece il Dio degli ebrei.

Così, quando Giona disse; «Io sono un Ebreo e temo l’Eterno», furono presi da grande spavento, e il loro atteggiamento cambiò.

Riuscite a percepirlo mentre leggete questo racconto?

In un certo senso a loro non importava quello che Giona aveva fatto. Quello che volevano sapere era: “Come possiamo uscire da queste circostanze? Cosa dobbiamo fare?” Questi sono stati i loro interrogativi.

La risposta di Giona fu: «Gettatemi in mare e il mare si calmerà» 

Sapeva della presenza del pesce pronto ad inghiottirlo? Naturalmente no. Allora cosa voleva dire? Che cos’altro poteva significare?

Significava, “Fatemi morire e allora Dio farà quello che vuole e il mare si calmerà. Dio non è arrabbiato con voi, ma con me”.

Potete ben chiedervi, “E’ possibile che un cristiano si allontani così tanto nella disobbedienza e regredisca a tal punto sulla via del peccato che arrivi a preferire la morte anziché servire Dio?

La risposta è: si, un cristiano può arrivare a questo punto.

Dio può permetterlo.

Se insistiamo nel seguire la nostra via, Dio ci permetterà di arrivare a quel punto, perché Egli sa che quando arriviamo tanto in basso nella nostra miseria, potrà parlarci con quella voce dolce e sommessa, facendoci ricordare la buona terra e la casa del Padre che abbiamo abbandonata.

E questo accadde a Giona.

Nel ventre del pesce sperimentò una grande liberazione. Fu salvato ancor prima che il pesce lo vomitasse. Si convertì, fu salvato nel ventre del pesce.

Vedete che Giona in realtà aveva detto: “Preferirei andare all’inferno anziché servire Dio”. Ma quando Dio lo mise in un posto che assomigliava all’inferno, decise che non lo gradiva come aveva immaginato, e desiderava tornare a Dio. Così si rivolse a Dio e alla fine della sua preghiera fece una grande affermazione: «La salvezza viene dall’Eterno».

Questo è il tema della Bibbia, ed è una dichiarazione della sovranità di Dio e della salvezza dell’anima, compiuta in questo caso a favore di Giona. Dio parlò al pesce e il pesce vomitò Giona sulla spiaggia.

 

LA RESTAURAZIONE


Sono arrivato al mio ultimo punto.

L’unica cosa che voglio dire è che la parola del Signore fu rivolta una seconda volta a Giona. Non è stupendo? Se Dio fosse apparso a Giona in quella situazione e, se lo avesse interrogato come aveva interrogato Giobbe, avrebbe potuto dire una cosa di questo tipo: “Giona, vorrei farti alcune domande sul perché non sei stato contento di quello che ho fatto, mentre Io ho fatto quello che era giusto. Dobbiamo giungere ad un accordo: ho ragione Io, oppure hai ragione tu? Ecco come vorrei affrontare il discorso. Ti ho chiamato Io a diventare profeta, vero?

E Giona avrebbe risposto di sì.

E questo è stato un grande onore, non è vero?

Sì, è vero”.

E ti ho fornito tutti i doni necessari per compiere il  lavoro che ti avevo assegnato.
Mi sono rivelato a te in modo speciale. Poche persone hanno goduto di un privilegio come questo. E’ possibile che tu abbia delle lamentele riguardo al modo con cui ti ho trattato o del mandato che ti ho affidato?” Giona avrebbe dovuto rispondere: “No, è stato un onore, non una vergogna
”.

E allora,” Dio avrebbe sicuramente continuato: “Quando, secondo l’esercizio della Mia sovranità, ti ho mandato a portare il messaggio del vangelo a Ninive, città che, come sai molto bene, ne ha grande bisogno, tu hai detto: “Non ci vado”. Ti ho risparmiato la vita sulla nave, anche in condizioni di miseria. Ti ho riportato qui e ho risanato la tua mente. Ti ho portato al ravvedimento. Potresti avere motivo per lamentarti una qualsiasi delle cose che ho fatto?

E Giona avrebbe dovuto rispondere ancora: “No, non ho nessun motivo per lamentarmi
Bene,” Dio avrebbe potuto dire: “Allora, siccome non hai motivo per lamentarti, ti salvo la vita; ora puoi andare a casa. Non ti posso più usare. Quale genere di profeta direbbe: -Preferirei morire anziché servire Dio?Torna a casa e fai quello che vuoi. Forse potrai trovarti un lavoro vendendo hamburger o qualcosa del genere, ma non potrai più essere un Mio messaggero”.

Se Dio parlasse così, nessuno di noi avrebbe comunque alcun motivo di lamentarsi. Ma ecco vediamo splendere a grazia di Dio leggendo al versetto I del capitolo 3, «...la parola dell’Eterno fu rivolta a Giona per la seconda volta ...».

La parola di Dio a Giona per la seconda volta, meraviglia delle meraviglie, grazia su grazia; si tratta esattamente del messaggio che Dio aveva dato la prima volta: «Levati, va’ a Ninive, la grande città, e proclama ad essa il messaggio che ti comando».

Questo ordine colpisce in due modi. Dimostra la grazia di Dio che non si arrende davanti alla nostra cocciutaggine, e dimostra anche la perseveranza di Dio nel compimento della Sua volontà.

Lui non ha per nulla cambiato la Sua volontà a motivo della disobbedienza di Giona. Non si sentiva minimamente frustrato o minacciato perché Giona aveva detto: “Preferirei morire piuttosto che servire Dio”.

Dio, se posso permettermi di dirlo, ha una capacità infinita di essere ostinato.

Alla fine ci conduce al punto in cui arriviamo a dire: «O Signore, sia fatta la Tua volontà». Quanto è saggio dirlo subito ed entrare nella gioia di servire Dio, invece di passare per le esperienze misere che avremo se fuggiremo da Lui!

 

Dr. James Boice

 

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