Il peccato, quello "geneticamente" ereditato oppure quello prodotto dai nostri pensieri e dalle nostre azioni è, insieme ad altri "attori" che scopriremo, l'origine delle sofferenze.
--- Alvaro Pietrageli ---
Roma 10 novembre 2002
Venga il tuo regno...
Il tempo della vittoria non è ancora giunto. L'alba spunta lontano e scorgo l'orizzonte aureolato della gloria a venire, ma la strada che mi ci conduce è ancora avvolta d'ombra e piena di ostacoli. Pellegrino tutto impolverato, dalle scarpe scalcagnate, tutto il mio essere si protende verso quella luce, il cui lontano riflesso illumina già i nostri volti stanchi. Ma, andiamo avanti! Non siamo ancora alla fine delle nostre pene.
Ho la vita: ne sono profondamente cosciente da certi sussulti del mio cuore, da certi trasporti d'allegrezza, dalla testimonianza della coscienza. Ma la mia gioia non è perfetta. Ben presto lo sarà, ma non ancora. Aspettare, sempre aspettare!
«Fino a quando, Signore?» (Salmo 94:3).
Non siamo soli a languire per l'attesa.
«Tutta la Creazione geme... anche noi stessi gemiamo in noi medesimi aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo. Poiché noi siamo stati salvati in isperanza» (Romani 8:22-24).
Non si crede più completamente all'ottimismo degli architetti del ventesimo secolo. I palazzi pieni di comodità, che s'innalzano da ogni parte, ci sedurranno alla vita facile di quaggiù? La nota che si libra oggi sulla terra -sulla piazza delle borgate come nelle grandi città, nelle belle ville di periferia e sulle scale rumorose delle case popolari, all'uscita delle fabbriche e in fondo ai negozi -quella che domina il rumore delle macchine, delle automobili e dei treni serali, quella che copre tutte le nostre grida, le nostre minacce e le nostre rivendicazioni, è una nota impastata di lacrime, una nota che geme su di un fondo di amara malinconia: è un immenso gemito.
Dispiacere dei beni perduti, di affetti distrutti come di vite fallite, dolore delle sofferenze sopportate, timore di un avvenire minaccioso, sete ardente e mai placata di una felicità durevole; sì, è tutto ciò. Ma anche, per molti che non l'hanno capito, aspirazione nascosta a una pace dell'anima, desiderio potente di ritrovare la propria coscienza, sentimento indefinibile di oppressione, bisogno inestinguibile di liberazione. E come se l'umanità incatenata tendesse le braccia verso il cielo da dove verrà il Redentore.
Alcuni di voi forse mi trovano tetro. Sì, lo capisco, tra voi vi sono di quelli che prendono la vita come viene. I cosìddetti buontemponi si divertono, scherzano molto, pretendono di essere allegri e traendo il massimo profitto da questa terra di miseria non hanno affatto fretta di lasciarla.
Sì, ma tutto questo muore. E quando un tale pensiero mi sale nell'anima, addio, la festa finisce.
Breve durata delle cose di quaggiù. «Che cosa resta di tutto ciò che non è eterno?» (Pascal, "Pensieri"). Non resterà nulla di questa primavera consumata troppo presto dagli ardori dell'estate, di questo mattino pieno di sole che un brusco ritorno di tramontana coprirà di un gelo mortale, di questi fiori troppo belli di cui neppure uno vedrà la prossima stagione, come pure se ne andrà quel vegliardo laggiù sulla soglia della sua casa, un tempo agricoltore infaticabile. Anche noi, bambini ieri, domani vecchi, presto dormiremo nella polvere. Una nuova generazione si leverà sulla terra, con i suoi adulti e i suoi piccoli. E altri, altri ancora, e la morte sempre instancabile falciatrice...
E non c'è proprio bisogno di essere informati di tutti i progetti di distruzione che si preparano nei laboratori segreti, in questa bella mattinata di primavera!
Ecco che cos'è la terra. Ecco quel che tu sentiresti, in questa bella mattinata di primavera adagiato sotto il tuo albero, se tu accostassi il tuo orecchio al suolo: su tutte le parti del globo s'odono i passi pesanti della distruzione.
«Che il tuo regno venga». Gli schernitori possono ben reclamare che venga mantenuta la promessa della sua venuta, dato che dal giorno in cui i progenitori si sono addormentati, tutte le cose continuano nel medesimo stato (2Pietro 3:4): «Che il tuo regno venga». Non ho nient'altro da rispondere, poiché posseggo la promessa di Colui che verrà.
«Che il tuo regno venga». Se tutta la terra elevasse verso il cielo quest'ardente sospiro, credo che il Signore ritornerebbe stasera.
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Sono semplicemente sorpreso all'amorevole risposta del nostro Signore verso la sofferenza; leggendo la Bibbia, vedo che non c'è nulla che smuova il nostro Dio più di un'anima che è sopraffatta dalla sofferenza.
La sofferenza viene definita come "profondo patimento" oppure "tristezza causata da un disagio estremo". Isaia ci dice che il Signore stesso è familiare con questo forte sentimento: "Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza..." (Isaia 53:3).
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Per quanto cerchiamo di proteggere i nostri bambini, anche loro
inevitabilmente sperimenteranno la sofferenza.
Potrebbe trattarsi di una sofferenza fisica (malattie, dolori) o dell'anima (amicizie, un brutto voto a scuola, ecc.). -
Romani 8:18-30 - Perchè oggi siamo nella sofferenza? Perch'è la sofferenza? Quale risposta si da l'Uomo? Paolo tratta questo argomento nella lettera ai Romani.
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