Gesù, e nessun altro, è sommo sacerdote in eterno!

Se la chiesa si fosse lasciata guidare dall'insegnamento contenuto in nella Lettera agli Ebrei, non avrebbe fatto l'errore di creare una casta di sacerdoti umani nell'ambito del nuovo patto, non essendoci alcun bisogno di funzioni sacerdotali o mediatrici al di fuori di quelle svolte da Cristo stesso. Ebrei 7:1-19 insegna il carattere inviolabile del sacerdozio di Gesù "in virtù della potenza di una vita indistruttibile" e il conseguente diritto di tutti coloro che hanno acquisito in lui "una migliore speranza" di accostarsi al Padre per mezzo di lui. Seguono, nel capitolo 7, delle ulteriori conferme dell'unicità del suo sacerdozio. Chi riconosce davvero la canonicità di Ebrei disconoscerà ogni pretesa di mediazione fra Dio e l'uomo che non sia quella di Gesù, il sommo sacerdote che ci conveniva (v. 26).

Gesù il garante del nuovo patto (7:20-22)

In questo brano si comincia a parlare esplicitamente del nuovo patto, per ora descritto come "un patto migliore" (v. 22). La prima cosa che lo rende "migliore" del patto levitico è il fatto che Gesù ne è il garante. Questo fatto viene messo in relazione con il giuramento con cui Dio lo ha costituito "sacerdote in eterno" (vv. 20-21; Salmo 110:4). In qualità di garante (gr. enguos), Gesù garantisce personalmente la sicurezza futura di chi entra in questo "patto migliore", contro ogni accusa o tentativo di delegittimazione (cfr. Ro 8:33-34). Nessuno può opporsi alla sua parola, essendo il suo sacrificio il motivo della riconciliazione del credente con Dio (Eb 2:17-18; 7:27).
Mi sia permesso di raccontare brevemente un'esperienza che ha permesso alla nostra famiglia di comprendere meglio quanto sia prezioso il ruolo di Gesù come garante del nuovo patto. Nel 1975, al controllo passaporti all'aeroporto internazionale di Sao Paolo, Brasile, sentimmo dire: "Voi non potete andare oltre questa barriera perché non avete un visto". Scoprimmo così che l'agenzia viaggi aveva sbagliato quando ci aveva assicurato che non c'era bisogno di un visto per fare una sosta di 24 ore in Brasile. Così ci "accomodammo" sul divano che l'ufficiale ci aveva indicato. All'epoca avevamo due bambini piccoli e la prospettiva di rimanere su questo divano, coperto di plastica, per un caldo giorno d'estate, nonché la notte, in attesa del nostro volo per Roma, non era molto simpatica! Sennonché un fratello a noi sconosciuto si offrì come nostro garante e noi accettammo la sua gentile offerta.
Accettando come garante una persona che aveva le carte in regola con il regime militare brasiliano, ci ritrovammo alleggeriti di ogni peso. Mentre uscivamo dall'aeroporto, il fratello Sinclair, scherzando, ci pregò di non sgarrare in alcun modo perché ogni addebito sarebbe ricaduto su di lui! Il giorno seguente, dopo un tempo bellissimo di refrigerio e comunione, fummo accompagnati dalla polizia brasiliana direttamente sull'aereo, senza dover passare alcun controllo. Una volta condotti ai posti prenotati, ci furono consegnati tutti i nostri effetti personali, compresi i passaporti. Un'esperienza davvero incredibile che ci fece venire in mente come sarà, per chi ha Gesù come garante, al momento di passare da questo mondo in cielo.

Perché nessun uomo è mai stato incaricato da Dio come sacerdote al posto di Cristo (7:23-24)

Questi versetti parlano dell'inviolabilità e dell'unicità del ruolo sacerdotale di Gesù in modo talmente chiaro che non si capisce come sia stato permesso a una classe di uomini di soppiantarlo. L'autore di Ebrei scelse di usare qui il nome Gesù, quindi è da escludere che sottintendesse un concetto di "Cristo" dai contorni incerti. Il riferimento è al vero Gesù della storia che aveva compiuto un atto sacerdotale unico e finale mentre stava sulla terra (2:17-18; cfr. 7:27) e che ora continua il suo ministero sacerdotale in cielo, alla destra di Dio (8:1-2).
Su che cosa si basa concretamente l'inviolabilità del sacerdozio di Gesù? L'autore ce lo spiega confrontando Gesù, il sommo sacerdote del "patto migliore", con i sacerdoti del patto levitico: questi ultimi "sono stati fatti sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare; egli invece, poiché rimane in eterno, ha un sacerdozio che non si trasmette" (7:23-24). Qui scopriamo un altro motivo perché la risurrezione di Gesù è importante: da essa dipende il suo essere "sacerdote in eterno". "Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui" (Romani 6:9), quindi non esiste alcun motivo perché Egli passi a qualcun altro il suo ruolo sacerdotale! Infatti il termine greco aparàbaton, tradotto qui "che non si trasmette" è messo in rapporto con l'eterna esistenza di Cristo: "poiché rimane in eterno." Quindi non dovrebbe sorprenderci che Gesù non abbia mai dato un mandato sacerdotale agli apostoli, né quando ha parlato della chiesa in Matteo 16:18 e 18:15-18, né quando, dopo la sua risurrezione, ha dato "istruzioni agli apostoli che aveva scelti" (At 1:1-8).
Nel capitolo 8 di Ebrei viene indicato un altro motivo molto importante perché è improponibile l'idea che Gesù avesse passato a Pietro e ai suoi presunti successori il suo ruolo sacerdotale. Semplicemente perché se Gesù stesso "fosse sulla terra, egli non sarebbe neppure sacerdote." Il ruolo di sommo sacerdote del nuovo patto è un ministero che si svolge necessariamente "alla destra del trono della Maestà nei cieli" (8:1-4).

Il potere e le perfezioni del sommo sacerdote del nuovo patto (7:25-28)

Il brano inizia con una delle dichiarazioni più chiare e forti di tutto il Nuovo Testamento. A motivo della fondata inviolabilità del suo sacerdozio, Gesù "può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro" (v. 25). La parola greca panteles, tradotta "perfettamente", significa: "in modo completo". La salvezza di cui Gesù è Mediatore è completa, anche se sperimentata in modo progressivo: dalla giustificazione al momento di ingresso sulla via della salvezza, fino alla glorificazione in occasione della risurrezione del corpo. Questo carattere perfetto della salvezza mediata da Gesù è messo in relazione con il suo ruolo sacerdotale permanente che dipende, a sua volta, dal fatto che egli "vive sempre." Quanto al suo ruolo di intercessore, il significato del verbo entugchanein, in questo contesto, è l'accollarsi da parte di Gesù degli interessi di coloro che vengono a Dio per mezzo di Lui. Gesù è in cielo per loro!
A questo punto l'autore passa in rassegna i motivi per cui lui e i suoi lettori avevano bisogno di un sacerdote come Gesù (vv. 26-28). Dal momento che il nuovo patto è stato formalmente esteso anche ai Gentili che credono in Cristo (si veda At 10:43-11:18; 1 Co 11:23-26), possiamo vedere in Gesù il sacerdote che corrisponde alla perfezione anche ai nostri bisogni.
Il primo motivo perché "a noi era necessario un sommo sacerdote come quello" è la sua "santità" (gr. osios), ovvero il fatto che è vissuto in completa conformità alla volontà di Dio, sia nella sua vita sia nella sua morte (cfr. 5:8-10; si veda pure Gv 6:69; Atti 2:27). La seconda delle sue perfezioni è il suo essere "innocente" (gr. akakos), ovvero caratterizzato da un agire privo di frode o ombra di cattiveria. Inoltre è "immacolato", quindi le abluzioni prescritte per Aaronne e per tutti i sacerdoti levitici, non sono necessarie nel suo caso. Il suo quarto attributo di perfezione è descritto come l'essere "separato dai peccatori". Alcuni studiosi pensano che questa frase denoti la condizione realizzata da Gesù nella sua esaltazione; altri, con cui concordo, credono che voglia indicare il fatto che si distingueva sempre quando stava in compagnia di peccatori (si veda Gv 8:1-11,46). L'ultima delle sue perfezioni, in questo caso con riferimento al suo essere in grado di svolgere il ruolo di sacerdote del nuovo patto, è il fatto che è stato "elevato al di sopra dei cieli." Il riferimento è, evidentemente, ai cieli stellari (cfr. 4:14).
Le perfezioni di Gesù fanno sì che Egli non debba offrire sacrifici per se stesso. Il bisogno di offrire sacrifici ripetutamente è escluso anche a motivo del sacrificio unico fatto sulla croce: "poiché egli ha fatto questo una volta per sempre quando ha offerto se stesso." Abbiamo già visto (2:17) che la morte di Cristo sulla croce figura come un sacrificio fatto in qualità di Sacerdote per espiare i peccati altrui. Le parole "una volta per sempre" (gr. ephapax, si veda anche 9:12, 10:10) sono enfatiche. Il carattere unico e permanente di questo sacrificio è una verità fondamentale.
La pretesa cattolica romana di offrire continuamente dei "sacrifici" a Dio, qualsiasi sia l'interpretazione che venga data a questo atto, tende a togliere il valore unico, una-volta-per-sempre, del sacrificio di Cristo. Inoltre stabilisce un rapporto fra le persone e i beni promessi da Dio simile all'imperfezione dei sacrifici per mezzo dei quali gli ebrei si accostavano a Dio quando erano sotto il patto levitico. C'è tuttavia questa differenza: il patto levitico fu istituito da Dio mentre la creazione di una casta sacerdotale nell'ambito del nuovo patto è contraria alla volontà di Dio e distrae l'attenzione dell'adoratore dal sacerdozio unico e sufficiente di Cristo.

 

Conclusione

Alla luce della completezza e della perfezione del sacerdozio di Cristo, non ha alcun senso tornare alla debolezza di un sacerdozio meramente umano. Sotto la legge, i sommo sacerdoti, a partire da Aaronne, dovevano offrire sacrifici "prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo"; Cristo non solo non deve mai offrire sacrifici per i propri peccati, inoltre non ha ogni giorno bisogno di offrire sacrifici per i peccati del popolo, avendo soddisfatto tale esigenza "una volta per sempre" (v. 27). Ecco perché, mentre la legge "costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza... la parola del giuramento fatto dopo la legge, costituisce il Figlio, che è stato reso perfetto in eterno" (v. 28). Non ci sono limiti all'efficacia del sacerdozio di Cristo, né nel tempo né nello spazio. Chi cerca un altro sacerdote (umano) non ha compreso il vangelo che invita ogni persona a avvicinarsi a Dio per mezzo di Gesù (v. 25).

 (Un estratto di un commentario sulla Lettera agli Ebrei, di Rinaldo Diprose, di prossima pubblicazione, CLC)

Argomenti

alex

da Matteo 21:33
«Udite un'altra parabola: C'era un padrone di casa, il quale piantò una vigna, le fece attorno una siepe, vi scavò una buca per pigiare l'uva e vi costruì una torre; poi l'affittò a dei vignaiuoli e se ne andò in viaggio.
Quando fu vicina la stagione dei frutti, mandò i suoi servi dai vignaiuoli per ricevere i frutti della vigna.

Ma i vignaiuoli presero i servi e ne picchiarono uno, ne uccisero un altro e un altro lo lapidarono.
Da capo mandò degli altri servi, in numero maggiore dei primi; ma quelli li trattarono allo stesso modo.
Finalmente, mandò loro suo figlio, dicendo: "Avranno rispetto per mio figlio".
Ma i vignaiuoli, veduto il figlio, dissero tra di loro: "Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e facciamo nostra la sua eredità".
Lo presero, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero.
Quando verrà il padrone della vigna, che farà a quei vignaiuoli?»
Essi gli risposero: «Li farà perire malamente, quei malvagi, e affiderà la vigna ad altri vignaiuoli i quali gliene renderanno il frutto a suo tempo».

Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
"La pietra che i costruttori hanno rifiutata
è diventata pietra angolare;
ciò è stato fatto dal Signore,
ed è cosa meravigliosa agli occhi nostri"?

Perciò vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto, e sarà dato a gente che ne faccia i frutti.
Chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; ed essa stritolerà colui sul quale cadrà».

I capi dei sacerdoti e i farisei, udite le sue parabole, capirono che parlava di loro; e cercavano di prenderlo, ma ebbero paura della folla, che lo riteneva un profeta.
Inviato da alex il

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