La visione che Giovanni
ricevette, fra le tante altre
rivelate nell’Apocalisse, delle “centoquarantaquattromila persone” in
piedi
insieme all’Agnello sul monte Sion non stimola soltanto uno studio
approfondito
di un testo profetico che annuncia un avvenimento futuro, ma incoraggia
la
nostra vita a non contaminarsi, a conservarsi pura, ad essere
irreprensibile e,
tutto questo, seguendo con fedeltà l’Agnello.
Introduzione
È bello vedere nel libro
dell’Apocalisse, non soltanto la
rivelazione straordinaria del Signore Gesù, ma anche esempi di fede
illuminanti
come
quello dei 144000.
Nel testo di Apocalisse
14:1-5, possiamo trovare diverse
caratteristiche e qualità spirituali che ritroviamo puntualmente anche
nelle
epistole apostoliche ed in tutta la Scrittura.
Queste semplici riflessioni
hanno lo scopo di incoraggiarci
e spronarci ad un servizio sempre più qualificante per il Signore “in mezzo a questa
generazione
storta e perversa”.
I 144.000 sul monte Sion
“Poi guardai e vidi
l’Agnello che stava in piedi sul
monte Sion e con lui erano centoquarantaquattromila persone che avevano
il suo
nome e il nome di suo Padre scritto sulla fronte”.
Nel capitolo 14 di
Apocalisse, dopo averne già parlato nel
capitolo 7 (vv. 1-8), il testo torna a parlare dei 144.000, di questi segnati che stanno in piedi sul
monte Sion,
insieme all’Agnello. ´È una bellissima scena quella che ci viene
presentata, in
quanto, da questi Ebrei che nel periodo della grande tribolazione
seguiranno
l’Agnello, viene proposto un bellissimo esempio.
Innanzitutto possiamo
osservare che il testo menziona “il
monte Sion”,
luogo che, nella Scrittura, è legato al popolo d’Israele e soprattutto
alla
città del Re.
Il salmista poteva dire:
“Grande è il Signore e
degno di lode nella città del
nostro Dio, sul suo monte santo. Bello si erge, e rallegra tutta la terra, il
monte
Sion: parte estrema del settentrione, città del gran re. Nei suoi
palazzi Dio è
conosciuto come fortezza inespugnabile” (Sl 48:1-3).
Il salmista, nell’esaltare
la Persona di Dio, menziona
altresì la città dell’Eterno identificata proprio in questa espressione “il
monte
di Sion… città del gran re”.
La città del Re, da ciò che
la Scrittura afferma è proprio Gerusalemme, ovvero quel luogo da
dove, un
giorno, regnerà il Signore Gesù, il Re dei re ed il Signore dei signori.
Il
monte Sion rappresentava un punto di riferimento per il pio israelita.
Addirittura il salmista usa
questo monte, da un punto di
vista simbolico, come paragone, per identificare coloro che si confidano
nel
Signore “Quelli che si confidano nel Signore sono come il monte di
Sion, che
non può vacillare, ma sta saldo in eterno. Gerusalemme è circondata dai
monti e
così il Signore circonda il suo popolo, ora e per sempre. Lo scettro
dell’empio, non rimarrà per sempre sull’eredità dei giusti, affinché i
giusti
non tendano le loro mani verso il male” (Sl 125:1-3).
È interessante osservare la
descrizione del salmista nei
confronti del monte Sion. Esso è sinonimo di stabilità. Come Gerusalemme è
attorniata dai
monti, nello stesso modo il Signore è intorno al suo popolo.Queste
parole ci
ricordano che Dio è sempre pronto ad intervenire per soccorrere i suoi.
Perciò,
il figlio di Dio può proprio mostrare piena fiducia nei confronti del
Signore.
Perciò non ci deve stupire che proprio sul monte Sion si trovino in
piedi, con
l’Agnello, i 144.000 di Apocalisse 14.
Tra l’altro “il monte
Sion”, lo
troviamo menzionato anche in
testi che parlano chiaramente del futuro regno milleniale del Signore
Gesù:
“Avverrà, negli ultimi
giorni, che il monte della casa
del Signore
si ergerà sulla vetta dei monti, e sarà elevato al di sopra dei colli, e
tutte
le nazioni affluiranno ad esso. Molti popoli vi accorreranno e diranno:
«Venite, saliamo al monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe;
egli ci
insegnerà le sue vie, e noi cammineremo per i suoi sentieri». Da Sion,
infatti,
uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli giudicherà
tra
nazione e nazione e sarà l’arbitro fra molti popoli; ed essi
trasformeranno le
loro spade in vomeri, e le loro
lance in falci; una nazione non alzerà più la spada contro l’altra, e
non
impareranno più la guerra” (Is 2:2-4).
Sion sarà il luogo-punto
di riferimento, anche per quelle nazioni che
desidereranno andare a Gerusalemme, per udire la Parola del Signore.
Come è
scritto in questo brano, quando questo accadrà, le nazioni non andranno a
Gerusalemme per combatterla o per muovere guerra, in quanto “le loro
spade”
saranno trasformate “in vomeri e
le loro lance in falci”.
Sarà un meraviglioso
periodo di pace.
Anche in Michea leggiamo:
“Ma negli ultimi tempi, il
monte della casa del
Signore
sarà
posto in cima ai monti e si eleverà al di sopra delle colline e i popoli
affluiranno ad esso. Verranno molte nazioni e diranno: «Venite, saliamo
al
monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe; egli ci insegnerà le
sue vie
e noi cammineremo per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge” (Mi 4:1-2).
Questo testo è molto simile
a quello che abbiamo letto in
Isaia.
Tuttavia il monte Sion, lo
ritroviamo anche nel Nuovo
Testamento e l’autore alla lettera agli Ebrei dirà, parlando della “chiesa
dei
primogeniti”:
“Voi vi siete avvicinati
al monte Sion, alla città del Dio vivente, la
Gerusalemme celeste, alla festante riunioni delle miriadi angeliche,
all’assemblea dei primogeniti che sono scritti nei cieli, a Dio, il
giudice di
tutti, agli spiriti dei giusti resi perfetti...” (Eb 12:22-23).
In questo brano, il “monte
Sion”,
non assume più una connotazione
terrestre, ma celeste. Questo testo ci rimanda alla descrizione della
Gerusalemme celeste descritta nei capp.21-22 di Apocalisse. Infatti
possiamo
osservare le varie definizioni date dall’autore “monte Sion,
Gerusalemme
celeste, città del Dio vivente,festante riunione, assemblea dei
primogeniti”.
Perciò, in conclusione possiamo affermare
che il monte Sion, nella Scrittura ha una connotazione piuttosto ampia.
Per
quanto concerne il cap. 14 di Apocalisse, possiamo
sicuramente
affermare che questo capitolo si occupa di due argomenti principali: il
nuovo
cantico
che
questi 144.000 impareranno e l’atteggiamento di questi Ebrei segnati
dal
Signore.
Dal loro comportamento
esemplare,
tutti noi dobbiamo imparare.
Sicuramente da quello che si evince da questo testo di Apocalisse
14:1-5, la
scena si svolge in cielo, in quanto queste 144.000 persone sono “davanti
al
trono di Dio”.
La voce dal cielo
“Udii una voce dal
cielo simile a un fragore di grandi
acque e al rumore di un forte tuono; e la voce che udii era come il
suono
prodotto da arpisti che suonano le loro arpe. Essi cantavano un cantico
nuovo
davanti al trono, davanti alle quattro creature viventi e agli anziani.
Nessuno
poteva imparare il cantico se non i centoquarant#940101;ttromila, che
sono stati
riscattati dalla terra” (Ap 14:2-3).
In questo brano, viene
immediatamente evidenziata questa voce
maestosa proveniente dal cielo, “simile a un fragore di grandi acque”. È, questa, una bellissima
espressione che ci parla proprio dell’imponenza della voce dell’Eterno.
Il salmista poteva
affermare:
“La voce del Signore è
sulle acque; il Dio di gloria
tuona; il Signore è sulle grandi acque. La voce del Signore è potente,
la voce
del Signore è piena di maestà” (Sl 29:3-4).
Tutte le descrizioni che
troviamo in questi due semplici
versetti, ci parlano della potenza della voce del Signore e della sua
maestosità. Non è a caso che il salmista prende come esempio proprio le
grandi
acque. Tutti noi rimaniamo colpiti quando ascoltiamo il rumore delle
onde che
si infrangono su uno scoglio. Questo è semplicemente un paragone per
farci
minimamente comprendere quanto sia maestosa la sua voce. Così come è
maestosa,
e nello stesso tempo meravigliosa, la Sua Parola.
L’altro paragone che
troviamo in Ap 14:2, è quello del tuono. Anche in questo caso,
dobbiamo
dire che questo paragone è veramente azzeccato. Quando vi sono i
temporali,
quando il cielo si copre di bagliori e quando udiamo il rumore del
tuono,
sicuramente ne rimaniamo impressionati.
Basti ricordare quel
momento in cui il Signore si rivelò a
Mosè e al popolo sul monte Sinai:
“Mosè fece uscire il
popolo dall’accampamento per
condurlo a incontrare Dio; e si fermò ai piedi del monte. Il monte Sinai
era
tutto fumante, perché il Signore vi era disceso in mezzo al fuoco; il
fumo
saliva come il fumo di una fornace, e tutto il monte tremava forte. Il
suono
della tromba si faceva sempre più forte; Mosè parlava e Dio gli
rispondeva con
una voce (Diodati
riporta:
“ gli rispondeva per un tuono”)” (Es 19:17-19).
Il popolo non solo rimase
impressionato da quella scena, ma
addirittura tremava. Era infatti consapevole di essere dinanzi al
Signore.
Inoltre, come è scritto in questo testo, quando Mosè parlava
direttamente con
il Signore, come gli rispondeva? È scritto che “rispondeva per un
tuono”.
Anche l’elemento del tuono, ci
parla della potenza della voce del Signore.
Eluci confessò durante la
sua conversazione con l’amico
Giobbe:
“A tale spettacolo il
mio cuore trema e balza fuori dal
suo posto. Udite, udite il fragore della sua voce, il rombo che esce
dalla sua
bocca! Egli lo lancia sotto tutti i cieli e il suo lampo guizza fino
alle
estremità della terra. Dopo il lampo, una voce rugge; egli tuona con la
sua
voce maestosa; quando si ode la voce, il fulmine non è già più nella sua
mano.
Dio tuona
con la sua voce in modo prodigioso; grandi cose egli fa che noi non
comprendiamo” (Gb
37:1-5).
Quest’uomo che ad un certo
punto, nei vari discorsi che si
intrecciano nel libro di Giobbe, apre la sua bocca, in questo testo
parla
proprio della magnificenza del Signore che “tuona con la sua voce in
modo
prodigioso; grandi cose egli fa che noi non comprendiamo”.
Ancora troviamo questo
particolare paragone. Il fatto è che
noi non abbiamo nemmeno la lontana immaginazione, di quanto sia efficace
e
potente la Parola del Signore.
Ancora un salmista ha
scritto:
“Tu l’avevi coperta
dell’oceano come d’una veste, le
acque si erano fermate sui monti. Alla tua minaccia esse si ritirarono,
al
fragore del tuo tuono fuggirono spaventate, scavalcarono i monti,
discesero
per le vallate fino al luogo che tu avevi fissato per loro” (Sl 104:6-8).
Nel parlare della
meraviglia della creazione di Dio,
perfetta in ogni suo particolare, il salmista mette in evidenza l’autorità
sovrana
e suprema della Parola del Signore, mediante la quale egli ha creato ogni cosa.
Nel
parlare di questa autorità, il salmista afferma che le acque “si
ritirarono
al fragore del tuo tuono”.
Perciò, tutte queste
immagini ci ricordano l’imponenza, la
maestosità della voce del Signore, la sua autorità, ma vi è anche un
terzo
paragone:
“...e la voce che
udii era come il suono prodotto da
arpisti che suonano le loro arpe”.
Questo paragone ci parla
della dolcezza della Parola del
Signore e
della
gioia che essa produce in chi l’ascolta. Come mai proprio questo
particolare
paragone?
È illuminante un brano che
troviamo nel primo libro di
Samuele:
“Saul mandò a dire a
Isai: «Ti prego, lascia Davide al
mio servizio, perché egli ha trovato grazia agli occhi miei». Or quando il cattivo
spirito
permesso da Dio veniva su Saul, Davide prendeva l’arpa e si metteva a
sonare;
Saul si calmava, stava meglio e il cattivo spirito andava via da lui” (1Sa 16:22-23).
Saul, a motivo del suo
peccato, si era allontanato dal
Signore e l’Eterno non solo gli tolse lo Spirito Santo, ma gli mandò uno
spirito malvagio. Per questo motivo Saul chiese a Isai, padre di Davide,
di
mandare a corte suo figlio, affinché, con la sua cetra o arpa, portasse
giovamento al re. Sono convinto che quando udiamo il dolce suono di
un’arpista
che suona il suo strumento, tutti noi ne sentiamo il giovamento. Il salmista cita molte
volte
questo strumento musicale, per lodare il Signore.
Ad esempio:
“Allora ti celebrerò con
il salterio, celebrerò la tua
verità, o mio Dio! A te salmeggerò con la cetra, o Santo d’Israele! Le
mie
labbra esulteranno, quando salmeggerò a te, e così l’anima mia, che tu
hai
riscattata. Anche la mia lingua parlerà tutto il giorno della tua
giustizia,
perché sono stati svergognati, sono stati umiliati quelli che
desideravano il
mio male” (Sl
71:22-24).
Ancora nel Sl 98 è scritto:
“...salmeggiate al
Signore con la cetra, con la cetra e
la voce del canto. Con trombe e al suono del corno acclamate il re, il
Signore”
(Sl
98:5-6).
Il salterio è pieno di
queste parole di lode e di adorazione
nei confronti del Signore e nel descrivere lo stato d’animo gioioso del salmista, egli cita
la sua
cetra, la sua arpa, utilizzata solo ed esclusivamente per adorare il
Signore.
Nel cantare al Signore, nell’adorarlo, le sue labbra avrebbero
giubilato,
perché tutti i suoi nemici erano stati confusi. Questo era motivo per
ringraziare il Signore. Ed era anche motivo per rivolgere al Signore un
nuovo
cantico.
Nel Salmo 33 è scritto:
“Cantategli un cantico
nuovo, sonate bene e con gioia.
Poiché la parola del Signore è retta e tutta l’opera sua è fatta con
fedeltà”
(Sl 33:2-4).
In questo brano si parla
esplicitamente di un nuovo cantico,
ovvero di un canto con parole che esprimano in una maniera rinnovata e
nuova, la
propria adorazione al Signore,
a motivo del fatto che la sua Parola è diritta, integra e giusta.
Ed ancora nel Salmo 144:
“Tendi le tue mani
dall’alto, salvami e liberami dalle
grandi acque, dalla mano degli stranieri, la cui bocca dice menzogne e
la cui
destra giura il falso. O Dio, ti canterò un nuovo cantico, sul saltrio a
dieci corde salmeggerà a te...” (Sl 144:7-9). In questo brano il salmista invoca
l’Eterno
per essere liberato dai suoi nemici e nel ringraziarlo, egli lo esalta
dicendo:
“...ti canterò un nuovo cantico”. Il canto è fondamentale nella vita di un
figlio di Dio.
È bellissimo ascoltare dei
cristiani che, anche nei momenti
di prova e di sofferenza, cantano al Signore. Questo significa che la
loro
occupazione non è quella di pensare al momento di sofferenza che stanno
vivendo, ma tutto il loro essere è occupato ad adorare e ringraziare il
Signore.
Come poteva dire Paolo:
“La parola di Cristo
abiti in voi abbondantemente;
istruitevi ed esortatevi gli uni gli altri con ogni sapienza; cantate di
cuore
a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali.
Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fate ogni cosa nel nome
del
Signore Gesù, ringraziando Dio Padre per mezzo di lui” (Cl 3:16-17).
Quando la Parola di Cristo,
dimora in noi, abita in noi,
divenendo parte integrante di noi stessi, allora il nostro
atteggiamento, la
nostra mentalità, tutto il nostro comportamento diviene sempre più
simile a
quello di Cristo. Tutto questo è espresso anche dai “salmi, inni e
canzoni
spirituali”,
cantando con grazia al Signore.
Ma come noi sappiamo un
giorno eleveremo al Signore un nuovo
cantico meraviglioso:
“Quando ebbe preso il
libro, le quattro creature viventi
e i ventiquattro vecchi, si prostrarono davanti all’Agnello, ciascuno
con una
cetra e delle coppe piene di profumi, che sono le preghiere dei santi.
Essi
cantavano un cantico nuovo, dicendo: «Tu sei degno di prendere il libro e
di
aprirne i sigilli perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con
il tuo
sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione; e ne hai fatto
per il
nostro Dio un regno e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra»” (Ap 5:8-10).
Quale sarà il tema di
questo nuovo cantico?
Il riscatto! Il Signore Gesù,
l’Agnello divino, ci ha riscattato dalla
nostra antica schiavitù, mediante il suo sangue. Il tema del riscatto è
citato
proprio dai 24 anziani. Ed il nuovo cantico citato in Apocalisse 14, è
scritto
che lo impareranno solo “i 144000 che sono stati riscattati dalla
terra”. Essi
potranno veramente cantare al
Signore intorno a quel miracolo che è accaduto nelle loro vite.
Le caratteristiche dei
144.000
“Essi sono quelli che
non si sono contaminati con
donne, poiché sono vergini. Essi sono quelli che seguono l’Agnello
dovunque
vada. Essi sono stati riscattati tra gli uomini per esser primizie a Dio
e
all’Agnello”.
Questa schiera di 144.000
Ebrei si distinguono proprio per
il loro atteggiamento e per le caratteristiche spirituali che essi mostrano.
Perciò, questo brano deve
essere, per noi, veramente un
punto di riferimento per come un figlio di Dio si deve comportare.
Innanzitutto osserviamo che
questi 144000, che si trovano
davanti al trono di Dio, quando erano sulla terra, si sono astenuti
da
qualsiasi contaminazione rimanendo nella purezza. Questo principio richiama
tutti
quei brani che troviamo sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, i
quali
esortano ciascuno di noi alla purezza e alla santificazione.
Nella legge, leggiamo ad
esempio queste parole:
“Non vi contaminate con
nessuna di queste cose, poiché
con tutte queste cose si sono contaminate le nazioni che io sto per
cacciare
davanti a voi” (Le
18:24).
Il popolo d’Israele si
doveva mantenere assolutamente puro,
senza contaminarsi, diversamente da quello che facevano le nazioni che
erano
intorno a loro, e non si doveva conformare a quei costumi pagani
corrotti e
idolatri che li caratterizzavano.
Ancora leggiamo sempre nel
libro del Levitico:
“Non vi rivolgete agli
spiriti, né agli indovini; non li consultate per non
contaminarvi a causa loro: Io sono il Signore, vostro Dio” (Le 19:31).
Questo brano riguarda
quelle pratiche occulte e demoniache
che contraddistinguevano le nazioni pagane. Secondo la legge, era
assolutamente
proibita qualsiasi forma di negromanzia e divinazione. Nello stesso
tempo la
legge proibiva anche determinate azioni che, se svolte, contaminavano la
persona.
Ad esempio leggiamo questo
riguardo alla figlia del
sacerdote:
“Se la figlia di un
sacerdote si disonora prostituendosi,
ella disonora suo padre; sarà bruciata col fuoco” (Le 21:9).
Da osservare la punizione
che Dio aveva previsto per un tale
atto: morte attraverso il fuoco. Perciò, quando si parla di
contaminazione,
nella Parola di Dio, non ci si rivolge ad un solo campo della sfera
della vita
umana. Colui che è timorato del Signore è chiamato a conservarsi puro
sempre
e comunque, in ogni aspetto della sua vita; sia esso relazionale,
sessuale, sociale e via
dicendo.
Un esempio eclatante di
tutto questo l’abbiamo in quelle
regole che caratterizzavano il voto di nazireato:
“Parla ai figli
d’Israele, e di’ loro: «Quando un uomo o donna
avrà fatto un voto speciale, il voto di nazireato, per consacrarsi al
Signore,
si asterrà dal vino e dalle bevande alcoliche; non berrà aceto fatto di
vino,
né aceto fatto di bevanda alcolica; non berrà liquori d’uva e non
mangerà uva,
né fresca né secca. Per tutto il tempo del suo nazireato non mangerà
alcun
prodotto della vigna, dagli acini alla buccia. Per tutto il tempo del
suo voto
di nazireato il rasoio non passerà sul suo capo; fino a che siano
compiuti i
giorni per i quali egli si è consacrato al Signore, sarà santo; si
lascerà
crescere liberamente i capelli sul capo. Per tutto il tempo che egli si è
consacrato al Signore, non si avvicinerà a un corpo morto; si trattasse
anche
di suo padre, di sua madre, di suo fratello e di sua sorella, non si
contaminerà con loro alla loro morte, perché porta sul capo il segno
della sua
consacrazione a Dio. Per tutto il tempo del suo nazireato egli è
consacrato al
Signore”
(Nu
6:2-8).
Come è scritto in questo
testo, il nazireo doveva rispettare
diverse regole inerenti alla sua persona. Egli non doveva bere vino, né
nessuna
bevanda alcolica, non doveva passare rasoio sopra il suo capo, doveva
rimanere
puro dal punto di vista sessuale e non doveva toccare nessun morto.
Tutto
questo con un unico scopo: essere santo al Signore.
I 144000 si distingueranno
proprio per la loro santità, per
la loro totale separazione dal peccato. Considerando che questo gruppo
proverrà
proprio da Israele, è consolante questo, soprattutto se si considerano
tutte
quelle volte in cui Israele ha fallito dinanzi al Signore.
Il salmista ricorda:
“Essi non distrussero i
popoli, come il Signore aveva loro comandato;
ma si mescolarono con le nazioni ed impararono le loro opere. Servirono i
loro
idoli, che divennero un laccio per essi; sacrificarono i propri figli e
le
proprie figlie ai demòni; e sparsero il sangue innocente, il sangue dei
propri
figli e delle proprie figlie, che sacrificarono agl’idoli di Canaan; e
il paese
fu profanato dal sangue versato. Essi si contaminarono con le loro opere
e si
prostituirono con i loro atti. L’ira del Signore si accese contro il suo
popolo
ed egli prese in abominio la sua eredità” (Sl 136:34-40).
In questo testo è proprio
ricordata la corruzione di Israele
che, invece di distruggere i popoli pagani che lo circondavano, come Dio
aveva
comandato, si mescolarono con loro, praticando le stesse terribili
azioni
abbominevoli che Dio odiava. In pratica, Israele si è più volte
contaminato.
Ebbene così non deve essere per il figlio di Dio.
Come afferma Paolo:
“Noi siamo infatti il
tempio del Dio vivente; siccome
disse Dio: «Abiterò e camminerò in mezzo a loro, sarò il loro Dio ed
essi
saranno il mio popolo. Perciò uscite di mezzo a loro e separatevene,
dice il
Signore, e non toccate nulla d’impuro; e io vi accoglierò. E sarò per
voi come
un padre e voi sarete come figli e figlie, dice il Signore onnipotente».
Poiché
abbiamo queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni
contaminazione di
carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timore di
Dio” (2Co
6:127-7:1).
Noi siamo il tempio di Dio e
dello Spirito Santo e come
raccomanda Paolo non vi può essere nessuna comunione “fra la luce e
le
tenebre”.
Perciò
l’apostolo esorta, includendo anche se stesso, di purificarsi da ogni
contaminazione di carne e spirito. È molto importante tutto questo. Non si può
pensare alla
salvezza ricevuta in dono da Dio e poi disinteressarsi di quella
santificazione
pratica che il Signore chiede a ciascuno di noi. D’altro canto, come
prima
della nostra conversione, dimostravamo di essere dei “morti nei falli
e
peccati”,
da quando
ci siamo convertiti al Signore, siamo chiamati a dimostrare di essere
dei
figli di Dio.
Questo dobbiamo mostrare al mondo.
Inoltre ci è detto, dei
144.000, che “essi sono quelli
che seguono l’Agnello dovunque vada” (Ap 14:4).
Questo è esattamente
l’atteggiamento che ogni seguace,
discepolo di Cristo, deve manifestare. Non ci si può chiamare “cristiani”, se non si segue
Cristo.
Gesù stesso ci ricorda:
“ Le mie pecore
ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse
mi seguono;
e io do loro la vita eterna e non periranno mai e nessuno le rapirà
dalla mia
mano” (Gua
10:27-28).
Le pecore che il Signore
Gesù conosce intimamente e
personalmente, sono quei figli di Dio che appartengono a lui e che lo
seguono,
veramente, dovunque egli vada.
Come sappiamo il Signore
Gesù è asceso al Padre, è tornato a
quella gloria che da sempre gli è appartenuta.
Ma come dichiara Pietro,
egli ci ha lasciato l’esempio
eccellente, affinché possiamo seguire le sue orme
“Infatti a questo siete
stati chiamati, poiché anche
Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio perché seguiate le
sue orme.
Egli non commise peccato e nella sua bocca non si è trovato inganno.
Oltraggiato, non rendeva gli oltraggi; soffrendo, non minacciava, ma si
rimetteva a colui che giudica giustamente...” (1P 2:21-23).”.
Il cristiano non si
definisce in questo modo perché aderisce
a qualche organizzazione religiosa, ma perché segue il suo divino Maestro.
Il Signore Gesù, con il suo
atteggiamento, con il suo comportamento,
con le sue parole, risulta essere il punto di riferimento per eccellenza
per
ciascuno di noi. Egli non solo non commise mai peccato, ma “oltraggiato,
non
oltraggiava, soffrendo, non minacciava”.
L’Agnello sarà il punto di
riferimento di questi 144000 che,
nello stesso tempo si sono anche mantenuti “vergini”. Questo è lo stesso
termine che
Paolo utilizza nei confronti della fidanzata dell’Ianello, ovvero della
Chiesa:
“Infatti sono geloso di
voi della gelosia di Dio, perché
vi ho fidanzati a un unico sposo, per presentarvi come una casta
vergine
a Cristo”
(2Co 11:2).
Domandiamoci:
Qual è la situazione
spirituale della Chiesa oggi?
Si sta mantenendo pura,
nonostante i continui attacchi del
nemico?
Oppure si sta conformando
al mondo?
Essi sono irreprensibili...
“Nella bocca loro non
è stata trovata menzogna: sono
irreprensibili” (Ap
14:5).
Ovviamente, dal
comportamento tenuto dai 144000 non si può
giungere che a questa conclusione: essi sono irreprensibili. Questa
caratteristica, come leggiamo nella Scrittura, è richiesta a tutti i
figli di
Dio, nessuno escluso. Paolo ha scritto agli Efesini:
“Ma voi non è così che
avete imparato a conoscere Cristo.
Se pure gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti secondo la
verità
che è in Gesù, avete imparato per quanto concerne la vostra condotta di
prima a
spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni
ingannatrici,
a essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente a rivestire
l’uomo
nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che
procedono dalla verità. Perciò, bandita la menzogna, ognuno dica la
verità al
suo prossimo perché siamo
membra gli uni degli altri (EU 4:20-25).
Che cosa significa “imparare
Cristo”?
Significa, come è scritto in questo
brano, spogliarsi del vecchio uomo per rivestirsi del nuovo. Purtroppo
accade
che, talvolta, le nostre azioni, i nostri pensieri invece di
rispecchiare
l’uomo nuovo, sono un “riciclaggio” dell’uomo vecchio.
Come afferma Paolo, l’uomo
vecchio “si corrompe seguendo
le passioni ingannatrici”. Ma l’uomo nuovo è creato “a immagine di Dio
nella giustizia e nella
santità che procedono dalla verità”. Perciò, si può essere graditi a Dio,
solo se siamo del
continuo caratterizzati dalla’ “uomo nuovo”. Ovviamente tutto questo
bisogna
mostrarlo. Perciò, bisogna “deporre ogni menzogna”, come i 144.000 che
manterranno
pura anche la loro bocca. Da loro non uscirà menzogna.
Nella lettera aio
Colossetti è scritto:
“ Ora invece deponete
anche voi tutte queste cosa: ira,
collera, malignità, calunnia; e non vi escano di bocca parole oscene. Non
mentite
gli uni agli altri, perché vi siete spogliati dell’uomo vecchio con
le sue
opere e vi siete rivestiti del nuovo, che si va rinnovando in conoscenza
a
immagine di colui che l’ha creato” (Cl 3:8-10). Deporre la menzogna, significa
altresì deporre
tutto ciò che non glorifica il Signore, ovvero tutte quelle opere che
provengono dalla carne: ira, cruccio, malizia, maldicenza e via dicendo.
Ed
ancora Paolo ricorda di deporre l’uomo vecchio per rivestirsi del nuovo.
Non è
a caso che nella Scrittura troviamo tutte queste esortazioni. Oggi più
che mai
abbiamo bisogno di queste lezioni.
Il nostro obiettivo deve
essere sempre quello
dell’irreprensibilità,
come scrive Paolo ai Filippis:
“Fate ogni cosa senza
mormorii e senza dispute, perché
siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a
una
generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel
mondo...”(Fl
2:14-15).
Noi non siamo di questo
mondo, ma viviamo, ci muoviamo, in
questo mondo. Siamo circondati, come afferma Paolo, da una “generazione
storta
e perversa”.
Quale dovrà essere, dunque,
il nostro atteggiamento? Essere
irreprensibili, il che non significa essere perfetti. Essere
irreprensibili
significa non dare adito ad altri di essere ripresi.
Dobbiamo veramente
risplendere “come astri nel mondo,
tenendo alto la parola di vita”. Ci possiamo identificare tutti quanti in questa
immagine?
Sempre Paolo ha scritto ai
Tessalonicesi:
“...e quanto a voi, il
Signore vi faccia crescere e
abbondare in amore gli uni verso gli altri e verso tutti, come anche noi
abbondiamo verso di voi, per rendere i vostri cuori saldi, irreprensibili
in
santità davanti
a Dio, nostro Padre, quando il nostro Signore Gesù verrà con tutti i
suoi
santi” (1Te
3:12-13).
Ovviamente per raggiungere
questo obiettivo, abbiamo sempre
bisogno dell’intervento del Signore. Solo Dio può raffermare, rendere
ben saldo
il nostro cuore, per essere “irreprensibili in santità”.
Cosa eravamo noi un tempo? Ecco
quello che Paolo scrive ai Colossesi:
“E voi che un tempo
eravate estranei e nemici a causa dei
vostri pensieri e delle vostre opere malvagie, ora Dio vi ha
riconciliati nel
corpo della carne di lui, per mezzo della sua morte, per farvi comparire
davanti a sé santi, senza difetto e irreprensibili, se appunto perseverate
nella
fede, fondati e saldi e senza lasciarvi smuovere dalla speranza del
vangelo che
avete ascoltato, il quale è stato predicato a ogni creatura sotto il
cielo e di
cui io, Paolo, sono diventato servitore” (Cl 1:21-23).
Questo noi eravamo: lontani
da Dio, suoi nemici. Ma per la grazia di Dio, e per
l’opera che il Signore Gesù ha compiuto, siamo stati riconciliati per
comparire un giorno davanti a lui santi ed irreprensibili. Ma nello stesso tempo, è
fondamentale perseverare nella fede, rimanendo fondati e fermi nella Sua
Parola. È assolutamente importante la perseveranza.
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