Seoul (AsiaNews) – 07.07.2010 - Un cristiano evangelico nordcoreano è stato torturato e poi ucciso in un carcere di Pyongyang. La denuncia è stata fatta dal fratello della vittima, che in una lunga intervista punta il dito contro il “regime ipocrita” di Kim Jong-il, che “cerca di porsi al di sopra di ogni altra legge, umana o divina”. Son Jung-hun, che oggi vive in Corea del Sud, è divenuto un devoto cristiano dopo la morte del fratello Son Jong-nam, ordinata dall’ultimo regime stalinista al mondo.
 
Jong-nam, 50 anni, è nato a Pyongyang l’11 marzo del 1958. Dopo aver trascorso dieci anni nei servizi di sicurezza presidenziali, è stato nominato sergente maggiore nel 1983: in questo periodo, aveva dedicato la propria vita a combattere gli “imperialisti americani”. Nel 1997 la moglie, incinta di 8 mesi, viene arrestata con l’accusa di aver addossato a Kim Jong-il la disastrosa carestia che sta affamando il Paese: basta questo per essere messi a morte.
 
Per cercare di ottenere una confessione scritta, le guardie la picchiano sulla pancia e le causano un aborto. Disilluso e spaventato, Son e la sua famiglia fuggono in Cina nel 1998: sette mesi dopo, la moglie morirà di leucemia. In Cina, incontra una comunità di cristiani protestanti che lo aiuta a sopravvivere nonostante il grave lutto. Si converte e decide di dedicare la propria vita al Vangelo e all’evangelizzazione della Corea del Nord.
 
Pyongyang dichiara di garantire la libertà religiosa alla popolazione, ma in realtà porta avanti una feroce persecuzione contro i fedeli di ogni credo. I cristiani sono particolarmente colpiti, perché ritenuti seguaci di una religione “occidentale” e collegata in qualche modo con gli Stati Uniti. Nel Paese è permesso soltanto il culto del dittatore Kim Jong-il e del padre, il “presidente eterno” Kim Il-sung.
 
A Pyongyang ci sono tre chiese – due protestanti e una cattolica – ma non esiste clero: per molti analisti, gli edifici sono soltanto uno specchietto per le allodole destinato ai rari turisti che entrano nella capitale. Dopo l’armistizio della guerra civile, nel 1953, il regime ha infatti spazzato via i fedeli e i loro pastori: in Corea del Nord, dicono fonti di AsiaNews, sopravvivono meno di 200 cattolici originari, tutti molto anziani.
 
A causa di questa persecuzione, è impossibile pensare di evangelizzare il Paese. Alcune denominazioni cristiane usano per questo scopo proprio i rifugiati dal Nord, che vengono educati e rimandati a casa. Il reverendo Isaac Lee, missionario evangelico coreano ma nato in America, spiega: “È terribile, ma è il loro Paese. Parlano la stessa lingua, sanno dove andare e come nascondersi. Ogni volta che, però, devo rimandare qualcuno a casa soffro moltissimo”.
 
Son, con 20 Bibbie e del materiale religioso, è fra questi. Viene però scoperto quasi subito: secondo il fratello, le autorità lo arrestano e lo chiudono in un lager. Qui viene torturato, “confessa” le sue colpe e viene messo a morte nel novembre 2008. Son Jung-hun lo ha scoperto soltanto alcune settimane fa, grazie a un altro dissidente: “Credo che la religione abbia cambiato del tutto la sua vita. Sognava di aprire una chiesa libera a Pyongyang, dove poter insegnare il Vangelo”.
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