Come ampiamente diffuso dai media in queste ore si è concluso l'accordo, che porrà fine alle sanzioni verso l'Iran, sul cosidetto uso del nucleare da parte della fazione sciita più rappresentativa del mondo mussulmano.
Si afferma che questo accordo, che tra l'altro prevede un graduale uso per scopi civili del nucleare in Iran, rappresenti "segnali di Pace" in medio oriente. Ovviamente la questione interessa Israele e ci piace riportare in queste pagine le giuste proccupazioni di questo Stato in continuo stato di allerta, forse da oggi più che mai - Fonte: ilvangelo-israele.it

alex

Invettive contro l'Occidente e Israele a pochi giorni dall'intesa sul nucleare. L'ayatollah Khamenei: «L'accordo non cambierà mai la nostra politica nei confronti dell'arrogante governo Usa».

di Fiamma Nirenstein

L'accordo nucleare con le maggiori potenze non cambierà la politica iraniana contro «l'arrogante governo americano» né modificherà la politica della Repubblica islamica «nell'aiuto ai suoi amici» nella regione. L'ha ripetuto ieri il Supremo Leader Ayatollah Ali Khamenei, fra canti di «Morte all'America» e «Morte a Israele» a Teheran per marcare la conclusione di Ramadan. Le reazioni occidentali sono pari allo scacciare una mosca con un gesto della mano: ma via, dicono, l'Iran è un Paese coperto di inutili maldicenze. Si sa, gli iraniani hanno il tic di giurare guerra e distruzione agli Usa e Israele, di promettere di schiacciare gli infedeli, hanno la fissazione che l'islam sciita, preparando l'avvento messianico e apocalittico del Mahdi, faccia del mondo un dominio islamico sconfinato ma la realtà, dicono gli speranzosi, è che si tratta di un artificio retorico fatto per conservare il consenso, per mantenere il punto. Insomma, segnali di fumo mentre quel che conta è l'accordo siglato a Vienna nei giorni scorsi, sono quei 150 miliardi che si preparano a tornare a casa, facendo dell'Iran una nazione fra le nazioni. Peccato che invece le minacce del mondo islamico, storicamente, non si siano mai rivelate peregrine, dai talebani a Bin laden all'Isis: lo dicono, e poi lo fanno.
   Khamenei è stato preciso: ha elencato tutti i campi di battaglia della battaglia egemonica iraniana, che, come quella dell'Isis, prima punta al Medio Oriente, e poi passerà al mondo occidentale. Il supremo leader ha detto e ripetuto con un twitter: «Non cesseremo di sostenere le nazioni oppresse in Palestina, Yemen, Siria, Bahrain, Lebanon». Ciò significa: il Libano resterà in mano dei nostri Hezbollah, combatteremo per Bashar Assad, sosteniamo con le armi gli Houti ribelli in Yemen, finanziamo Hamas, usiamo il Bahrain come base di attacco nella Penisola Arabica. Manca l'Irak, dove le forze del generale iraniano Qasem Soleimani controllano ogni movimento strategico. Insomma, col suo approccio Khamenei, che scrive anche «anche dopo l'accordo, le nostre politiche non cambieranno, non abbiamo nessun colloquio con gli Usa su questioni regionali. Abbiamo parlato con loro occasionalmente del nucleare».
   Insomma, Khamenei non chiacchiera, promette: conferma che l'Iran conduce la sua politica internazionale di dominio, che i 150 miliardi andranno in attività belliche che scombineranno del tutto il Medio Oriente, lo renderanno campo di battaglia e probabilmente anche di nuclearizzazione ulteriore. L'ha già ammesso Susan Rice, che ha detto «noi volevamo occuparci solo di nucleare, non del cattivo comportamento e del militare dell'Iran». Solo che l'atteggiamento ringhioso renderà difficile anche sorvegliare l'accordo, dato che le ispezioni in strutture sospette devono essere annunciate 24 giorni prima, devono ricevere l'approvazione di una commissione e dell'Aiea; l'agenzia nucleare internazionale non dovrà avere nessun ispettore americano o di altro stato che non abbia rapporti diplomatici con l'Iran. Figuriamoci.
   Obama forse ormai si rende conto, di aver fatto un passo troppo lungo e sembra cercare di correre ai ripari, di giustificarsi prima che il Senato, che deve rivedere l'accordo, decida per un eventuale «no». Obama ha già annunciato che opporrebbe il veto allo stop eventuale, ma sarebbe un gesto poco adatto allo splendore dei media. Così ieri ha fatto un discorso tronfio e imbarazzato: «Accolgo ogni approfondimento, non temo nessuna domanda. Come Comandante in Capo non mi scuso di mantenere il Paese in pace e sicurezza. Questo trattato risolve tutti i problemi che l'Iran pone ai suoi vicini e al mondo? No. Fa di più quanto chiunque abbia fatto prima per assicurare che l'Iran non ottenga l'arma nucleare? Si». Ma si sarebbe potuto far di più, per esempio essere più duri sulle sanzioni che contrariamente a quello che ha detto il Presidente ieri, non sarà davvero facile ripristinare in caso di violazioni dell'accordo.
   Dati i precedenti storici sotto gli occhi di tutti, le tecniche di nascondimento iraniane possono vincerla di nuovo sul meccanismo di sorveglianza basso, il numero delle centrifughe nelle mani dell'ayatollah alto, le leziosità di Mohammad Javad Zarif quando dice «Siamo stati molto lieti di trattare con l'amministrazione Obama». Certamente: Obama ha una tendenza a scambiare la resa per una vittoria morale. È così che l'Isis prospera anche a casa sua dove l'attacco di Chattanooga mostra l'infiltrazione islamista sunnita in un mondo apparentemente integrato. L'islamismo impazza a tenaglia, in Siria e in Irak l'uso di gas venefici da parte dell'Isis contro i Curdi attaccano l'unico vero guerriero che l'Isis abbia dovuto fronteggiare finora sul campo di battaglia, l'auto bomba al mercato di Baghdad che ha fatto 100 morti per festeggiare la fine di Ramadan, gli spari contro una nave egiziana...
   Largo come una nera macchia d'olio l'aggressività islamica si diffonde, e chi la guarda è accusato di islamofobia e di non capire i progressi portati dalla politica obamiana.

(il Giornale, 19 luglio 2015)

alex

Alleati traditi. Sauditi ed egiziani già pensano all'atomica, e a mollare l'alleato americano in favore di Putin. Con il deal non soltanto non si ferma la Bomba: i pasdaran ora sono pronti a ricostruire l'impero.

di Carlo Panella

ROMA - "L'accordo con l'Iran apre la porta alla proliferazione nucleare, non la chiude". Questo secco giudizio non è del premier israeliano Bibi Netanyhau, ma di Turki bin Faisal, già capo dei servizi segreti sauditi e già ambasciatore a Washington, ed è stato espresso poche settimane fa. Abituato a un linguaggio diretto, Turki ha aggiunto: "Qualunque cosa gli iraniani hanno, la avremo anche noi". Non è un caso che questo esplicito annuncio dell'intenzione di Riad di dotarsi di un armamento atomico sia arrivato in coincidenza della firma a San Pietroburgo il 18 giugno del contratto con cui il regno saudita acquista 16 centrali atomiche dalla Russia. Il contratto è stato firmato da Vladimir Putin e - il fatto è indicativo - non dal ministro dell'Energia saudita, ma dal principe Mohammed bin Salman, che non solo è il ministro della Difesa, ma è anche figlio del re Salman e secondo nella successione al trono. E' palese e che le 16 centrali atomiche acquistate dai sauditi sono sproporzionate rispetto alle necessità energetiche del regno e sono funzionali a un raffinamento dell'uranio finalizzato all'atomica. Ci sono state poi le rivelazioni del Sunday Times (confermate da molti analisti), secondo le quali il Pakistan ha deciso di sdebitarsi per i finanziamenti di miliardi di dollari ottenuti da Riad per dotarsi di una bomba atomica, consegnandole l'assistenza per disseminare di atomiche la penisola arabica. Ma non basta: anche il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha deciso di affiancare i sauditi e il 15 febbraio scorso, durante la visita di Putin al Cairo, ha firmato un contratto per l'acquisto di una centrale atomica con tecnologia russa che sorgerà nella località di al Daba.
   E' dunque indubbio che l'accordo nucleare di Vienna spinge i due paesi arabi tradizionalmente alleati dell'America a buttarsi ora nelle braccia della Russia, stringendo vincoli di lungo periodo che muteranno la loro collocazione internazionale.
   Questi vincoli si completano con l'acquisto di parte saudita di armi per 1,4 miliardi di dollari - 150 elicotteri, di cui 30 Mi-35 (d'attacco) e 120 Mi-17 (per il trasporto), oltre a 150 carri armati T-90S - e da parte dell'Egitto di armamenti per ben 3 miliardi di dollari (prestati da Riad). Le ragioni di questa escalation nucleare saudita-egiziana, appoggiata dai paesi del Consiglio del Golfo, sono evidenti: Barack Obama ha condotto le trattative con l'Iran escludendo dal tavolo l'aggressività militare di Teheran nei confronti dei paesi sunniti, dispiegata ormai da quattro anni - un'aggressività che minaccia direttamente Riad, il Cairo e il Kuwait. Ammesso che il trattato di Vienna inibisca per 10 anni la costruzione della bomba atomica iraniana, è agli atti, per cartas, che da qui al 2025 l'Iran continuerà a inviare i suoi pasdaran e Hezbollah (che è una sua formale emanazione libanese) a combattere contro gli interessi sauditi, egiziani e dei paesi sunniti in Libano, Siria, Iraq, Yemen e a Gaza.
   Rinforzata l'economia con decine, forse centinaia, di miliardi di dollari per l'acquisto di petrolio e di investimenti occidentali, Teheran è ora libera di sviluppare la sua spinta aggressiva nei confronti dei paesi sunniti, finalizzandola alla "esportazione della rivoluzione" e addirittura alla "rinascita dell'impero Sassanide" (come teorizza il "riformista" Ali Younesi, consigliere del presidente Hassan Rohani ed ex ministro dell'Intelligence nel governo Khatami). Lo stesso assenso all'accordo di Vienna da parte del blocco costituito da pasdaran e "clero militante" ha questa motivazione.
   E' quindi facile prevedere cosa accadrà in Siria: la perdita del controllo di Damasco da parte di Bashar el Assad sarà seguita e attutita dai 10 mila pasdaran e miliziani di Hezbollah, già radicati nel paese. Stesso scenario in Iraq, dove le milizie sciite, sotto la guida del generale dei pasdaran Qassem Suleimani, sostituiranno sempre più un esercito iracheno inesistente, e saranno la "forza armata" di un governo di Baghdad ridotto a satellite di Teheran. Stesso scenario nello Yemen, là dove gli Houti sono arrivati a sfondare il confine e a combattere su suolo saudita. Identico lo scenario di Gaza. Infine, ma non per ultimo: Riad sa bene che i missili intercontinentali iraniani - esclusi dall'accordo di Vienna - sono puntati su Riad e Gedda e non solo su Tel Aviv e Dimona. Diventa così quasi obbligato il suo sganciamento da Washington e l'avvio di una escalation militare che trasformerà il medio oriente in un caos incontrollabile e incontrollato. A tutto vantaggio della Russia di Putin.

(Il Foglio, 15 luglio 2015)


Sembra proprio che Barack Obama sia «l’uomo del destino» arrivato al tempo giusto per avviare e favorire quell’inevitabile declino degli Stati Uniti come potenza mondiale che favorirà l’emergere di potenze “bibliche” come Iran e Russia. Tutto questo ben si accorda con le profezie contenute nelle Sacre Scritture arrivate agli uomini attraverso il popolo ebraico, oggi presente sulla scena politica mondiale nella forma dello Stato d’Israele. M.C.

alex

di Cesare de Carlo

Questo accordo-dice Obama-renderà ilmondo più sicuroro? A una prima occhiata sembra la versione obamiana del patto col diavolo di faustiana memoria. Ricapitoliamo. L'Iran della teocrazia liberticida smantellerà due terzi delle centrifughe usate per arricchire l'uranio. Eliminerà gran parte dell'uranio già arricchito e produrrà meno plutonio. Ma solo per dieci anni. 0 forse meno. E dopo? Disporrà della bomba (ammesso che già non l'abbia). E intanto che fani Israele? Attenderà passivamente di essere incenerito come gli ayatollah ripetevano prima dell'avvento della 'colomba' Rohani?
   Quattro mesi fa in Congresso il primo ministro Netanyahu ha proclamato: mai più un altro Olocausto, ci difenderemo da soli se gli Usa ci abbandoneranno. E la sunnita Arabia Saudita? Si rassegnerà alla minaccia degli sciiti iraniani che allargano la loro egemonia sull'intero Medio Oriente? Già ora combattono contro i sunniti yemeniti, contro i sunniti iracheni che appoggiano l'Isis. Alimentano il terrorismo di Hezbollah in Libano.
   Forniscono armi e missili al siriano Assad e ad Hamas che li scarica sulla testa degli israeliani. Nessuna sorpresa allora se il governo saudita dice: abbiamo la tecnologia nucleare. E così l'Egitto. Il generale Al Sisi lotta per scongiurare il ritorno di quei Fratelli musulmani che agli occhi di Obama incarnavano la primavera araba.
   Dunque più e non meno armi nucleari. Minore e non maggiore sicurezza. Ci fa sapere la Casa Bianca: non c'era alternativa. In assenza di un accordo l'Iran sarebbe arrivato alla bomba molto prima. Può darsi. Ma la firma di Vienna rappresenta l'elevazione del regime al rango di potenza continentale. Chiediamoci infine perché gli altri Paesi al tavolo della trattativa abbiano approvato. Russia e Cina per la geopolitica. Indeboliscono ulteriormente la posizione americana e venderanno armi una volta tolte le sanzioni. Francia, Gran Bretagna, Germania per il nuovo mercato. Più export e più petrolio. Questo vale anche per l'Italia. Ma a che prezzo? Ora l'accordo dovrà essere ratificato dal Congresso. E questo nega il paragone con l'apertura di Nixon sulla Cina comunista. I repubblicani hanno l'arma del voto. Obama quella del veto.

(Nazione-Carlino-Giorno, 15 luglio 2015)

alex

Teheran brama la fine di Israele. Il generale di Entebbe: "L'accordo di Vienna ci mette in pericolo".
di Giulio Meotti

ROMA. Il Palais Coburg, il lussuoso hotel di Vienna dove è stato firmato l'accordo sul nucleare dell'Iran, sorge in una piazza particolare. E' intitolata a Theodor Herzl, il fondatore del sionismo. E proprio Israele martedì è quello che ha reagito più duramente all'accordo, definito una resa all'"asse del male". Tre giorni prima che l'Amministrazione Obama stringesse la mano ai mullah, l'ex presidente della Repubblica Islamica, l'ayatollah Hashemi Rafsanjani, aveva scandito: "Israele è uno falso stato temporaneo. E' un oggetto estraneo nel corpo di una nazione e sarà presto cancellato. Quando e come accadrà dipende da alcune condizioni che stanno cambiando rapidamente". Forse Rafsanjani si riferiva all'accordo. "L'Iran su Israele dice quello che pensa nel profondo", spiega al Foglio il generale dell'esercito israeliano Ephraim Sneh. Nel blitz di Entebbe, il 4 luglio 1976, tra le sue braccia morì Yoni Netanyahu, fratello dell'attuale primo ministro. Figlio di sopravvissuti alla Shoah, Sneh è anche "l'uomo che ha scoperto l'Iran", perché fu il primo a sollevare l'allarme sull'atomica iraniana. Il laburista Sneh sottopose le sue conclusioni all'allora primo ministro, Yitzhak Rabin che, il 26 gennaio 1993, annunciò alla Knesset: "L'Iran è un pericolo strategico per lo stato d'Israele". "Oggi siamo molto preoccupati perché l'ideologia della morte dell'Iran si coniuga a un apparato militare e nucleare immenso", ci dice Sneh. "L'accordo di Vienna non distrugge il programma nucleare, lo congela. Inoltre fornisce impunità e legittimità al regime iraniano nella sua conquista globale".
  L'analista Mark Langfan, direttore dell'organizzazione "Americans for a safe Israel", ha appena definito il regime iraniano "Hitler con la bomba atomica e il 56 per cento delle risorse petrolifere mondiali". Eppure, la "razionalità" del regime iraniano è diventata egemone nelle cancellerie e nei pensatoi occidentali. Nel 2007 l'allora presidente francese, Jacques Chirac, disse che la bomba atomica iraniana non avrebbe avuto alcun uso offensivo. "Dove dovrebbero tirare la bomba, su Israele?", chiese Chirac. Dello stesso avviso la Casa Bianca. Ma anche i volti più pragmatici del regime come Ali Akbar Salehi, l'attuale capo dell'Agenzia atomica iraniana, sono stati chiari: "Il regime israeliano è troppo piccolo per sopravvivere a una settimana di guerra". Chi ha orecchie intenda. Quando due anni fa è rimasto ucciso in un attentato Mostafa Ahmadi Roshan, lo scienziato a capo della centrale nucleare di Natanz, la moglie è stata intervistata dall'agenzia Fars. A domanda su quale fosse il principale scopo del lavoro del marito, la donna ha risposto: "La distruzione di Israele".

 "Per l'Europa, Israele è un peso"
  "Europa e America sul deal si sono mossi in nomi di cinici interessi economici", dice al Foglio Mordechai Kedar, uno dei massimi esperti di mondo islamico alla Bar Ilan University, con alle spalle vent'anni trascorsi nell'intelligence militare di Tsahal. "L'Europa voleva aprire il mercato iraniano. Non ha alcun interesse in Israele. Anzi le dirò di più: nel loro intimo pensano che Israele sia un peso e che il medio oriente sarebbe più pacifico senza uno stato ebraico". Secondo Kedar, gli ayatollah dicono quello che vogliono fare: "Agli occhi degli ayatollah, gli ebrei non hanno diritto a una terra e questo rende Israele votato alla scomparsa. Gli ebrei non hanno il diritto di sfidare i musulmani, meno che mai ucciderli, neanche per autodifesa. Per questo tutti gli ebrei in Israele sono meritevoli di morte. Gli iraniani faranno tutto il possibile per distruggere lo stato ebraico, e sanno che molte nazioni non verseranno una lacrima se Israele scomparisse. Uno dei leader iraniani ha già definito Israele un 'paese da colpire con una bomba', perché un'atomica su Tel Aviv è sufficiente a distruggere l'intero stato. Dobbiamo prenderli sul serio, ricordando che non abbiamo prestato attenzione agli avvertimenti degli anni Trenta. L'Europa, e una parte dell'America, non considerano più Israele come il primo bastione della civiltà. Ma l'Europa sarà la prossima a essere mangiata dal coccodrillo".

(Il Foglio, 15 luglio 2015)

alex

Herzog: grazie a Obama ora l'Iran avrà un'atomica puntata su Israele

"La posizione di Obama sull'Iran non è realista, perché non si rende conto del fatto che mentre firma accordi con il moderato Rouhani, chi controllerà il Paese nel mediolungo periodo saranno i falchi come Ali Khamenei, secondo cui Usa e Israele sono dei nemici". Lo evidenzia Michael Herzog, analista strategico israeliano e international fellow del Washington Institute for Near Policy. Ieri Stati Uniti e Iran hanno raggiunto un accordo sul nucleare considerato storico, in quanto permetterà agli ispettori dell'Onu di effettuare controlli sufficienti a impedire che Teheran si doti della bomba atomica. Anche se per il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, l'accordo rappresenta "un errore grave di portata storica" in quanto "in tutti i campi in cui occorreva negare all'Iran la capacità di dotarsi di armi atomiche sono state fatte generose concessioni".

- Perché Israele è così preoccupato e scontento per i contenuti di questo accordo?
  Israele è preoccupato per le sue implicazioni di medio-lungo termine. L'accordo avvicina i tempi iraniani di break-out (cioè il tempo necessario per produrre abbastanza uranio arricchito per una bomba atomica, ndr) a 10-15 anni. Nello stesso tempo legittima Teheran come uno Stato a fissione nucleare nel secondo decennio a partire dall'accordo. Gli consente infatti di espandere i suoi programmi per quanto riguarda i siti nucleari.

- Queste concessioni favoriranno un atteggiamento più positivo di Teheran sul piano politico?
  Il timore di Israele è che questo accordo non cambierà i comportamenti dell'Iran, ma anzi potenzierà i suoi attuali atteggiamenti destabilizzanti dell'intera Regione. Mi riferisco in particolare al suo sostegno di organizzazioni terroristiche, al fatto di gettare benzina sul fuoco sugli scontri tra sciiti e sunniti, al suo sostegno nei confronti del regime di Assad in Siria e al suo stesso ruolo in Yemen. L'intero Medio Oriente è in fiamme, e la percezione israeliana è che rafforzare l'Iran finirà per sconvolgere ulteriormente la stabilità della regione con un impatto negativo per tutti. Non dimentichiamo inoltre che pur non avendo partecipato ai negoziati, Israele è minacciata dall'Iran più di chiunque altro.

- Che cosa accadrebbe se dopo questo accordo l'Iran chiedesse all'America la creazione di uno Stato palestinese?
  Non è questa in realtà la posizione dell'Iran. Teheran si è opposta a un processo di pace tra israeliani e palestinesi, sostenendo quanti non lo vogliono come Hamas e la Jihad Islamica. Si tratta di gruppi che chiedono la distruzione di Israele e sono contrari a un processo di pace che conduca a una soluzione basata sulla creazione di due Stati. Chiedono infatti un solo Stato arabo, con la cessazione dell'esistenza stessa di Israele. Ritengo quindi difficile che l'Iran possa adottare una piattaforma comune con gli Usa per risolvere il conflitto israeliano-palestinese.

- Il riavvicinamento tra Usa e Iran può favorire un miglioramento dei rapporti tra israeliani e palestinesi?
  Ne dubito fortemente. Non è stato soltanto l'ex presidente, Ahmadinejad, ad avere chiesto la distruzione di Israele. Alcuni mesi fa la stessa Guida Suprema dell'Iran, Ali Khamenei, ha pubblicato su Twitter un documento dal titolo: "Nove modi per distruggere lo Stato d'Israele". La leadership di Teheran, nello stesso momento in cui negoziava con gli Usa sul nucleare, continuava a chiedere che Israele fosse raso al suolo. Non vedo quindi nessuna possibilità di una posizione più moderata di Teheran nei confronti di Israele. Il governo di Teheran è guidato da un'ideologia che mira alla distruzione di Israele, e non a una soluzione "due popoli due Stati", in cui israeliani e palestinesi possano vivere l'uno al fianco dell'altro in pace e sicurezza.

- L'Iran non è un unico blocco monolitico. Se si apre all'Occidente prevarranno i moderati come Rouhani?
  In Occidente ci sono grandi speranze sul fatto che una volta siglato l'accordo, ciò rafforzerà gli elementi più pragmatici come Rouhani. In realtà le nuove risorse di cui potrà beneficiare l'Iran andranno ai Guardiani della Rivoluzione, considerati come i falchi. Chi comanda realmente a Teheran non è Rouhani bensì l'ayatollah Khamenei, la cui posizione è che tanto Israele quanto gli Stati Uniti sono dei nemici. Dubito che Rouhani rimarrà al potere abbastanza a lungo per cambiare l'orientamento di fondo dell'Iran. Spero e prego perché ciò avvenga, ma dobbiamo essere realisti e sarei sorpreso se alla fine prevalesse la linea pragmatica del nuovo presidente.

- Il presidente siriano Assad esce rafforzato da questo accordo?
  E' possibile. Assad si trova sotto una pressione molto forte e sta perdendo terreno. Ma ora l'Iran consolida il suo ruolo regionale, e avrà maggiori risorse economiche per tenere in vita il regime di Damasco. Negli ultimi tre anni, dall'inizio della guerra in Siria, l'Iran pur essendo sottoposto a sanzioni ha investito miliardi di dollari per evitare una caduta di Assad. Ora che Teheran si trova con più risorse a sua disposizione, potrà sostenere il regime di Damasco come gli pare e piace.

(ilsussidiario.net, 15 luglio 2015)

di Pietro Vernizzi

alex

Il premier di Israele: non siamo vincolati all'intesa. Obama gli telefona ma non riesce a convincerlo.

di Maurizio Molinari

GERUSALEMME - «È un accordo che minaccia la sicurezza di Israele e il mondo intero»: Benjamin Netanyahu esprime di persona a Barack Obama il dissenso sull'intesa raggiunta a Vienna in una delle conversazioni più difficili avvenute fra i leader dei due Paesi alleati. «Quanto avete concordato con l'Iran gli consentirà di avere armi nucleari entro 10-15 anni se rispetteranno l'accordo, oppure anche prima se lo violeranno» ha detto il premier al presidente, aggiungendo se a questa «minaccia per l'esistenza di Israele» si aggiunge il fatto che l'abolizione delle sanzioni all'Iran «porterà a pompare miliardi di dollari nella macchina del terrorismo di Teheran che minaccia noi e il mondo»

 Obama rassicura
  Il capo della Casa Bianca ha replicato illustrando i dettagli degli accordi, difendendone la validità per «impedire all'Iran di avere l'atomica» e riafferman- do l'impegno per «la sicurezza di Israele» con misure di «cooperazione senza precedenti» che il segretario alla Difesa, Ash Carter, vaglierà di persona a Gerusalemme durante una missione ad hoc la prossima settimana. «L'intesa di Vienna non diminuisce i nostri timori sul sostegno dell'Iran al terrorismo e sulle minacce a Israele» ha aggiunto Obama.
  Il duello di posizioni sulla «sicurezza di Israele» anticipa uno degli argomenti su cui il Congresso di Washington dovrà esprimersi votando, entro 60 giorni, sull'intesa con l'Iran. Il presidente della Camera dei Rappresentanti, il repubblicano John Boehner, prevede «una corsa armamenti» e «gravi minacce per Israele».
  A rafforzare la posizione di Netanyahu arriva il pronunciamento del governo che vota all'unanimità un testo in cui afferma di «non essere vincolato all'accordo di Vienna». È una posizione con cui converge Isaac Herzog, leader dell'opposizione di centrosinistra, che parla di «accordo con il regno del terrore» e preannuncia un viaggio a Washington per chie- dere «ombrello difensivo e ingenti aiuti». Naftali Bennet, leader dell'ala destra della coalizione, aggiunge: «Oggi è nata una superpotenza terroristica nucleare e Israele sarà in grado di difendersi se necessario, abbiamo sempre detto che impediremo all'Iran di avere l'atomica e lo riaffermiamo».

 «Patto di Monaco»
  La convergenza fra i diversi partiti politici si spiega con l'umore di un'opinione pubblica in cui si sommano i timori per l'atomica di Teheran, l'incombere di un tipo di conflitto senza precedenti, la necessità di trasmettere nella regione la volontà di battersi contro la bomba iraniana e la dilagante delusione per la «resa dell'Occidente all'Asse del Male» come la definisce Tzipi Hotoveli, viceministro degli Esteri. «Sei potenze hanno giocato assai male sul nostro futuro collettivo» dice Netanyahu, evocando l'errore commesso a Monaco nel 1938 da Francia e Gran Bretagna nell'accettare la spartizione della Cecoslovacchia illudendosi in questa maniera di scongiurare la guerra contro Hitler e Mussolini. Anche Ron Prossor, ambasciatore all'Onu, adopera toni simili: «L'Iran può agire senza limitazioni, con ritrovata prosperità economica, continua a finanziare e promuovere il terrorismo: e il mondo ne pagherà il prezzo».

(La Stampa, 15 luglio 2015)

Inviato da alex il

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