Da quando abbiamo mangiato del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, noi uomini abbiamo sviluppato una certa coscienza del valore (positivo e negativo) di ciò che facciamo e di ciò che ci succede.
Da allora, non solo approviamo o non approviamo le cose che ci accadono o che facciamo accadere, ma sappiamo anche, almeno in una certa misura, se le approveremo in un prossimo futuro e se altri faranno altrettanto. Il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che Dio il SIGNORE aveva fatti. Esso disse alla donna: «Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?» La donna rispose al serpente: «Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; ma del frutto dell’albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: "Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete"». Il serpente disse alla donna: «No, non morirete affatto; ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male». La donna vide che l’albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l’albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi ad entrambi e s’accorsero che erano nudi; unirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture. Genesi, 3:1-7 Dal momento in cui Eva ha dato ascolto alla voce del tentatore e ha accettato di parlare con lui, noi uomini abbiamo cominciato a riconoscere quello che ci piace e quello che non ci piace, a distinguere quello che ci è permesso (perché piace anche agli altri) e quello che magari ci piacerebbe ma non ci è permesso (perché non piace agli altri), quello che non ci piace ma che ci tocca fare perché così agli altri piace e quello che devono fare gli altri anche se non gli piace. Si tratta di una coscienza imperfetta (e a volte contraddittoria, perché dipende da quello che vediamo, che è un’infinitesima parte della realtà), ma che è pur sempre all’origine del sistema di regole e di valori socialmente condivisi che governa la nostra vita di "animali politici".
La nozione di bene e di male e la sua comunicazione sta alla base della cultura dell’uomo. Non solo l’etica che guida le nostre scelte profonde (e l’etichetta, per quelle più superficiali), ma anche il modo di cucinare e di vestirsi, di decorare, di riconoscere le malattie e di curarle e in genere tutte le arti e le tecniche umane dipendono dalle più o meno tradizionali e arbitrarie idee di bene e di male che si sono prodotte nelle diverse culture.
Ognuna di queste culture, in sintonia o in competizione con alcune delle altre, genera e conserva diversi codici di comportamento, rispetto ai quali le azioni che vengono compiute dai membri del gruppo che la condivide possono essere classificate come ben fatte o mal fatte. Questi valori vengono insegnati attraverso un articolato processo educativo e tramandati in un insieme di tradizioni di cui fa spesso parte anche un sistema di credenze religiose, che conferiscono a questa conoscenza del bene e del male (e ai valori che ne discendono) un senso di assoluto, assieme al sentimento del diritto/dovere di diffondere questa conoscenza e questi valori, portandoli – ed eventualmente anche imponendoli – a coloro che non li conoscono o che magari ne seguono degli altri.
Ora, se questa è, molto in sintesi, la storia politica e culturale dei rapporti tra i "Gentili" (i Goyim, nella lingua ebraica), questo certamente non è il metodo che Dio ha scelto per il suo popolo. Infatti non solo, come abbiamo appena visto, la Bibbia ci parla della nostra male acquistata conoscenza del bene e del male come conseguenza (e causa) della disobbedienza alla parola di Dio, ma ce la mostra anche come una luce spesso insufficiente, che facilmente ci porta a cadere. C’è una via che all’uomo sembra diritta, ma finisce con il condurre alla morte. Proverbi, 14:12 e 16:25
La Bibbia invita a cercare il nostro bene in Dio e ci presenta il nostro Dio come qualcuno che ci fa conoscere il suo cuore (i suoi pensieri) con il suo sguardo e la sua parola. La rivelazione della conoscenza del vero bene richiede quindi una ricerca personale, cioè la ricerca di una persona. Il mio cuore mi dice da parte tua: «Cercate il mio volto!» Io cerco il tuo volto, o SIGNORE. Salmi, 27:8
Non è quindi ciò che insegna la tradizione (e che in ogni cultura è diventato parte del senso comune di quel dato popolo) che ci può condurre davvero sulla via del bene e allontanare definitivamente dal male. Certo, la Bibbia è anche il codice di comportamento del popolo di Israele e, in questo senso, è anche un sistema di regole che, similmente a quello degli altri popoli e delle altre culture, permette di generare un certo numero di giudizi sulle azioni proprie e altrui.
Ma la stessa Bibbia mette in guardia dal credere di poter fare a meno di Dio nel giudicare secondo la nostra capacità di ragionare e di tirare delle conclusioni. Allontanarsi dal male non viene dal sapere che è male, ma dal timore del Signore, principio della sapienza (Proverbi, 1:7). Non ti stimare saggio da te stesso; temi il SIGNORE e allontanati dal male Proverbi, 3:7
Dio vuole un popolo di persone sinceramente interessate a conoscerlo sempre meglio, persone che sanno di avere ancora molto da imparare riguardo al loro vero bene, sempre diverso da quello che uno crede di sapere. Perché il nostro bene viene solo da Dio (Giacomo, 1:17) e non possiamo immaginare quello che sarà. Infatti i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie, dice il SIGNORE. Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri. Isaia, 55:8-9
L’insegnamento della conoscenza del bene e del male secondo Dio è ciò che la Bibbia chiama Legge (Torah) e che Gesù ha riassunto in un semplice comandamento. Tutte le cose (…) che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la Legge e i profeti. Matteo, 7:12 Ma questa formula non è sufficiente a guidarci se non desideriamo essere guidati, perché spesso non sappiamo neanche esattamente cosa vogliamo noi e soprattutto non sappiamo metterci nei panni degli altri e riconoscere cosa vorremmo al loro posto (del resto, cerchiamo di fare questo sforzo solo molto raramente).
Amare il prossimo come noi stessi (Levitico, 19:18) non è affatto un comandamento ovvio, né è di immediata applicazione. Anche perché va spesso contro il nostro giudizio e le nostre aspettative di piacere e dispiacere. Per questo, Gesù lo ha collegato al comandamento di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente (Matteo, 22:37-39, che riprende Deuteronomio, 6:5 e Levitico, 19:18), cosa che normalmente riusciamo a fare solo parzialmente e al massimo quando le cose ci vanno bene (sempre secondo il nostro concetto di bene).
La conoscenza della Legge non è quindi affatto sufficiente a se stessa. Il ruolo della Legge è quello di illuminare la coscienza, ma la coscienza non basta a renderci giusti, nemmeno se è rettamente illuminata. Anzi, tutt’altro. È proprio il fatto di sapere che certe cose sono bene e certe altre male che ci porta tormento, senso di colpa e tanto interno ragionare. Cosa che capita a tutti gli uomini, Ebrei e Gentili, gente per bene e criminali, perché tutti, più o meno, abbiamo una certa conoscenza di ciò che è bene e di ciò che è male per noi e per i nostri simili. Infatti quando degli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natura le cose richieste dalla Legge, essi, che non hanno legge, sono legge a sé stessi; dimostrano che quanto la Legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda. Romani, 2:14-15
Hanno i loro problemi e le loro contraddizioni anche i figli di Israele, nonostante il fatto che la loro coscienza è stata istruita dalla Legge di Dio (a dire il vero, le cose non vanno molto diversamente neanche tra i cristiani, in quanto siamo tutti ancora fatti di carne, cfr. più avanti nella stessa Lettera ai Roamni, dove Paolo parla di sé stesso come creatura carnale, vv 7:14-24).
Ora, se tu ti chiami Giudeo, ti riposi sulla legge, ti vanti in Dio, conosci la sua volontà, e sai distinguere ciò che è meglio, essendo istruito dalla legge e ti persuadi di essere guida dei ciechi, luce di quelli che sono nelle tenebre educatore degli insensati, maestro dei fanciulli, perché hai nella legge la formula della conoscenza e della verità; come mai dunque, tu che insegni agli altri non insegni a te stesso? Tu che predichi: «Non rubare!» rubi? Tu che dici: «Non commettere adulterio!» commetti adulterio? Tu che detesti gli idoli, ne spogli i templi? Tu che ti vanti della legge, disonori Dio trasgredendo la legge? Romani, 2:17-23
Nelle culture più selvagge, il bene può consistere nello sconfiggere il nemico, prendersi una bella moglie (o un marito potente), avere dei forti alleati, fare un raccolto abbondante o una buona caccia. Nelle culture più raffinate, le cose cambiano solo in apparenza. Si rivestano i propri atti come si vuole, una volta che certe cose (come fama, riconoscimento, primato, comodità, potere, soldi, ecc.) appaiono come desiderabili, il bene dell’uno diventa il male dell’altro e viceversa. E i pensieri di tutti diventano malvagi e violenti. Il SIGNORE ha guardato dal cielo i figli degli uomini, per vedere se vi è una persona intelligente, che ricerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti sono corrotti, non c’è nessuno che faccia il bene, neppure uno. Salmi, 14:2-3
In effetti, le cose non sono molto cambiate neanche dai giorni che hanno preceduto il Diluvio. Il SIGNORE vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo. Genesi, 6: 5 Non è un caso che la Bibbia parli di disegni. Le immaginazioni del cuore sono a volte così oggettive che possono essere fissate in quelle immagini create dalle mani dell’uomo che chiamiamo, letteralmente, disegni. Ma queste raffigurazioni materiali non sono appunto altro che il risultato finale di una operazione che avviene già nella nostra mente. Quando ricordiamo, desideriamo, cerchiamo o temiamo qualcosa, ce ne facciamo automaticamente una specie di immagine. Un’immagine che può essere parziale, anche solo una posizione all’interno di un certo schema, un’immagine che non corrisponde mai pienamente all’oggetto che rappresenta, ma che ci serve comunque a identificare cosa intendiamo trovare, dire, fare, ecc. Mentre la natura degli oggetti rimane sempre la stessa, il tipo di "immagini" cambia a seconda che la cultura sia una cultura di raccoglitori o di cacciatori, di agricoltori o di pastori, di soldati o di pescatori; che ci si trovi nell’età della selce o in quella del silicio.
Alcune immagini sono più musicali, altre più figurative. In alcune contano di più i dettagli che evocano la presenza sensibile di un certo oggetto, in altre vale di più il ritmo della raffigurazione. Ma l’uomo resta comunque un animale soprattutto visivo e il desiderio degli occhi è uno degli elementi costitutivi del sistema che la Bibbia chiama "mondo", della società cioè degli uomini che sono contenti e soddisfatti della loro conoscenza del bene e del male, quella conoscenza che, secondo le parole del serpente, li renderebbe simili a Dio e autonomi da Lui. Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, il desiderio della carne, il desiderio degli occhi e l’arroganza della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. 1 Giovanni, 2:15-16
Il desiderio degli occhi è anche il desiderio di controllare e dominare il nostro prossimo e tutta la realtà del mondo che ci circonda, possedendo ogni cosa come un oggetto, dando a tutto un suo posto e definendo i rapporti tra tutte le cose. Al "desiderio degli occhi", corrisponde infatti alla tentazione di Gesù nel deserto, quando il diavolo gli offrì tutti i regni del mondo. Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un attimo tutti i regni del mondo e gli disse: «Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni; perché essa mi è stata data, e la do a chi voglio. Se dunque tu ti prostri ad adorarmi, sarà tutta tua». Luca, 4:5-7 Gli occhi vogliono sapere: riconoscere, identificare, contare, classificare…
Certamente, soprattutto nella nostra cultura eurasiatica, la conoscenza visiva è sempre stata quella dominante. Sintomatico che in greco antico "io so" si dicesse oida, un perfetto difettivo che significa "ho visto". Viene dalla stessa radice anche la parola greca che significa "coscienza", syneides. Sia in greco sia in latino, per indicare la "coscienza", alla radice dei verbi che significano "conoscere" si aggiunge una analoga preposizione, rispettivamente syn e cum, che significa "con", "assieme". La coscienza mette assieme per rappresentare, allo scopo anche di confrontare e giudicare. La coscienza è di fatto una specie di tribunale interno. Un teatro in cui più o meno pittorescamente ci rappresentiamo la nostra vita, ma che non può darci la certezza di rappresentare il vero bene e il vero male. Perché quello che ci mostra è appunto solo quello che si vede. Le scene o le raffigurazioni dell’uomo arrivano dove arrivano, perché la nostra conoscenza è una conoscenza solo per immagini. A me poi pochissimo importa di essere giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, non mi giudico neppure da me stesso. Infatti non ho coscienza di alcuna colpa; non per questo però sono giustificato; colui che mi giudica è il Signore. Perciò non giudicate nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore, il quale metterà in luce quello che è nascosto nelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio. 1Corinzi, 4:3-5
Dio vede quello che non si vede e giudica i motivi del cuore. Tutte le vie dell’uomo a lui sembrano pure, ma il SIGNORE pesa gli spiriti. Proverbi, 16:2 Il tribunale della nostra coscienza valuta solo in base alle nostra umana conoscenza del bene e del male. Ma Dio sì che sa cosa è veramente buono e cosa è veramente cattivo, sia per noi che in noi. Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male. 2 Corinzi, 5:10
Come scienziati (nel nostro piccolo, lo siamo un po’ tutti) e come uomini naturali in genere, noi riteniamo di conoscere qualcosa quando siamo in grado di osservare un certo fenomeno per poi ricostruirlo (o riprodurlo) nelle sue parti o nelle sue fasi. In questo senso della parola conoscere, conosciamo solo quello che possiamo vedere e descrivere. Si tratta della conoscenza naturale che sviluppiamo per trovare ed evitare gli oggetti nel mondo che ci circonda, il tipo di conoscenza che chiamiamo appunto "oggettiva". E difatti questa conoscenza funziona meglio con gli oggetti inanimati (quelli tradizionalmente studiati dalla fisica). È una conoscenza che ha molto più a che vedere con la morte che con la vita. Perché le immagini non sono vive, mentre Dio è il Dio vivente: Colui che ha dato la vita a ciascuno di noi. Le cose e soprattutto le persone attorno a noi sono costituite da un’infinita molteplicità di elementi in equilibrio l’uno con l’altro. Di questi equilibri e dei loro innumerevoli effetti non possiamo rappresentarci che un’infinitesima parte. Perché le nostre immagini, per quanto ben escogitate, sono sempre finite. In senso lato, adoriamo un’immagine tutte le volte che le attribuiamo verità e vita. Tutte le volte, cioè, che le scambiamo per la realtà. Il che è tutto sommato abbastanza facile che accada, perché appunto sono immagini non solo quelle che sono fatte dalle mani o dalla tecnica dell’uomo (e che possiamo spostare, spegnere, sfogliare), ma anche quelle che si formano nella nostra mente, cioè anche quelle che ci facciamo definendo la realtà con le nostre rappresentazioni (anche quelle solo verbali, o addirittura matematiche).
Difatti il divieto di Dio per il popolo di Israele non era solo di farsi immagini o sculture, ma anche di adorare le cose che ci appaiono come delle figure. Siccome non vedeste nessuna figura il giorno che il SIGNORE vi parlò in Oreb dal fuoco, badate bene a voi stessi, affinché non vi corrompiate e non vi facciate qualche scultura, la rappresentazione di qualche idolo, la figura di un uomo o di una donna, la figura di uno degli animali della terra, la figura di un uccello che vola nei cieli, la figura di una bestia che striscia sul suolo, la figura di un pesce che vive nelle acque sotto la terra; e anche affinché, alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna, le stelle, tutto l’esercito celeste, tu non ti senta attratto a prostrarti davanti a quelle cose e a offrire loro un culto, perché quelle sono le cose che il SIGNORE, il tuo Dio, ha lasciato per tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli. Deuteronomio, 4:15-19
Il divieto dell’idolatria (che si trova già in Esodo, 20:4-6) deriva dal fatto che l’idolo, cioè l’immagine, è una cosa morta. Nella Bibbia la morte è associata alla corruzione e all’impurità Chiunque, nei campi, avrà toccato un uomo ucciso da un’arma o morto per cause naturali, o delle ossa umane, o un sepolcro, sarà impuro per sette giorni. Numeri, 19:16 Desideriamo le immagini, perché desideriamo la morte. In fondo, la nostra carne anela a un ordine e a una ripetitività molto vicini alla morte. Vorrebbe che tutte le cose e tutte le persone obbedissero alla sua volontà in un sogno di onnipotenza che, quando per qualche istante sembra realizzarsi, non produce che un’angoscia di morte. … ciò che brama la carne è morte, mentre ciò che brama lo Spirito è vita e pace; infatti ciò che brama la carne è inimicizia contro Dio, perché non è sottomesso alla legge di Dio e neppure può esserlo; e quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio. Romani, 8:6-8
Agli occhi di Dio, la morte spirituale che viene dall’ordine prodotto dalla creatura (l’uomo che forgia l’immagine per adorarla, o lo spirito che lo spinge a farlo) è il male per eccellenza. Vedi, io metto oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; (…) scegli dunque la vita, affinché tu viva, tu e la tua discendenza… Deuteronomio, 30:15 e 19 L’ordine di un’immagine è un ordine finito, un ordine morto. Invece il Signore, come diceva Davide, è "il Dio vivente". Il Suo ordine è quello che ci ha dato la vita. Infatti la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. Ebrei, 4:12
Noi invece, piuttosto che pensare di essere visti, preferiamo essere certi di poter vedere. Vogliamo avere tutto sotto controllo e ci piace trovare le cose come le abbiamo lasciate. Perché non sempre riusciamo a credere che possano essere animate da una vita più grande di noi. In lei [nella parola] era la vita, e la vita era la luce degli uomini (…) la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Giovanni, 1:4 e 3:19 Sono per lo più immagini morte – o possono diventarlo – anche quelle che ci facciamo sulle situazioni della nostra vita e sui nostri rapporti con gli altri.
La tendenza naturale del pensiero è quella di fermarsi in un’immagine, o in una frase. E noi normalmente attribuiamo a queste nostre rappresentazioni più verità che alla rivelazione di Dio. Come è accaduto a quei dieci esploratori mandati in ricognizione nella terra di Canaan, che ritornarono dalla quella "terra promessa" scoraggiando il popolo di Israele con il loro rapporto, dicendo che quella terra era abitata da giganti di fronte ai quali gli Israeliti erano grandi come cavallette. L’ira del SIGNORE si accese in quel giorno, ed egli giurò: "Gli uomini che sono saliti dall’Egitto, dall’età di vent’anni in su non vedranno mai il paese che promisi con giuramento ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, perché non mi hanno seguito fedelmente, salvo Caleb, figlio di Gefunne, il Chenizeo, e Giosuè, figlio di Nun, che hanno seguito il SIGNORE fedelmente". L’ira del SIGNORE si accese contro Israele; ed egli lo fece andare vagando per il deserto durante quarant’anni, finché tutta la generazione che aveva fatto ciò che è male agli occhi del SIGNORE fu consumata. Numeri, 32:10-13
Credere alle nostre immagini piuttosto che alla parola di Dio è una cosa normale per l’uomo. Non ci vediamo niente di male. Ma ciò che non è male ai nostri occhi e anzi spesso ci appare quasi ragionevole, è un grande male agli occhi del Signore. Ora, per sapere davvero ciò che è male agli occhi di Dio (perché il timore di Dio non sia un "comandamento imparato dagli uomini", come è scritto in Isaia, 29:13) è necessario che lo conosciamo personalmente. Questa conoscenza di Dio è la perfetta conoscenza che Gesù è venuto a donarci, se ci sforziamo di conoscerlo personalmente e di aprirgli il cuore. …perché il Dio che disse: «Splenda la luce fra le tenebre», è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo. 2Corinzi, 4:6
Non un’immagine morta, ma la vera immagine della vita. Egli è l’immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Colossesi, 1:15
Gesù è un’immagine della vita che non corrisponde a quella che ci siamo fatti noi uomini. Infatti, i suoi stessi discepoli non potevano capire il piano di Dio di cui Gesù parlava loro. Più precisamente, non riusciva ad accettarlo Pietro (che pur gli aveva appena detto «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», Matteo, 16:16), proprio perché cozzava con la sua idea di bene e di male. Allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molte cose da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti, degli scribi, ed essere ucciso, e risuscitare il terzo giorno. Pietro, trattolo da parte, cominciò a rimproverarlo, dicendo: «Dio non voglia, Signore! Questo non ti avverrà mai». Ma Gesù, voltatosi, disse a Pietro: «Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini». Matteo, 16:21-23
Pietro, come uomo naturale ("carne e sangue"), non conosceva ancora la potenza della risurrezione di Cristo. … l’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché esse sono pazzia per lui; e non le può conoscere, perché devono essere giudicate spiritualmente. 1Corinzi, 2:14 L’uomo naturale non può comprendere la potenza della resurrezione di Cristo, ma questa rivelazione è di vitale importanza perché possiamo vivere seguendo l’insegnamento del Signore, non sottostando cioè alla paura della morte (nostra e dei nostri cari) mediante la quale, come è scritto in Ebrei, 2:15, si diventa prigionieri del diavolo lungo tutta la vita, dalla gioventù, quando ci si domanda che senso abbia vivere se poi bisogna morire, alla mezza età, in cui si sente avvicinare la vecchiaia e si comincia ad avere fretta di fare le cose che non si potranno più fare, alla vecchiaia in cui si è più o meno terrorizzati dall’idea di avere ormai esaurito la propria quantità di vita.
Gesù è venuto a portarci il senso delle cose dell’Iddio vivente, il senso della resurrezione che ci libera dal senso delle cose dell’uomo, che è il senso comune. Dicendoci le parole che ascoltava da Dio e compiendo le opere che gli diceva di compiere, Gesù è venuto a farci conoscere il Padre. Queste parole e queste azioni non rappresentano la nostra condizione in modo da bloccarla in un giudizio di condanna, ma ci danno comunque conoscenza del nostro stato, guidandoci verso la via della salvezza. Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Giovanni, 3:17
Dio non conosce, come noi, attraverso delle immagini finite. La conoscenza che ha di noi va molto oltre ogni nostra immaginazione (Matteo, 6:8 e 32; 10:30; Luca, 12:7) e arriva fino ai segreti del nostro cuore (Romani, 2:16). Non considera i nostri sforzi di apparire quello che non siamo, la nostra faccia o il nostro status sociale. Davanti a Dio non c’è favoritismo. Romani, 2:11
Paolo riprende questa affermazione da Deuteronomio,10:16-19 e da altri passi dell’Antico Testamento, usando un termine greco (prosopolepsia) che ricalca una espressione della lingua ebraica il cui significato corrisponde a "dare importanza alla faccia (all’apparenza)". Come Dio invita noi a non giudicare da quello che si vede e a guardare piuttosto quello che non si vede (1Corinzi, 4:3-5; 2Corinzi, 4:18), così nemmeno Lui guarda a ciò che è temporaneo e apparente. Non guarda all’esteriorità delle nostre opere, come facciamo noi per dare un punteggio ai nomi degli uomini considerando, per esempio, i voti conseguiti, i titoli di studio, i lavori pubblicati e il loro impact factor. Dio guarda al cuore (1Samuele, 16:7), cioè ai veri motivi delle nostre azioni. Non vuole ricordarsi dei nostri peccati, ma piuttosto portarci a sincero pentimento, per poterci perdonare e potersi dimenticare di tutto il male che abbiamo fatto. Se l’empio si allontana da tutti i peccati che commetteva, se osserva tutte le mie leggi e pratica l’equità e la giustizia, egli certamente vivrà, non morirà. Nessuna delle trasgressioni che ha commesse sarà più ricordata contro di lui; per la giustizia che pratica, egli vivrà. Io provo forse piacere se l’empio muore? dice DIO, il Signore. Non ne provo piuttosto quando egli si converte dalle sue vie e vive? Se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l’iniquità e imita tutte le abominazioni che l’empio fa, vivrà egli? Nessuno dei suoi atti di giustizia sarà ricordato, perché si è abbandonato all’iniquità e al peccato; per tutto questo morirà. Ezechiele, 18:20-24
Il Signore desidera che lo conosciamo come l’Iddio che dà la vita. L’Iddio che ci ama di un tenero amore e che ci conosce nei minimi dettagli da quando non eravamo ancora nati. SIGNORE, tu mi hai esaminato e mi conosci. Tu sai quando mi siedo e quando mi alzo, tu comprendi da lontano il mio pensiero. Tu mi scruti quando cammino e quando riposo, e conosci a fondo tutte le mie vie. Poiché la parola non è ancora sulla mia lingua, che tu, SIGNORE, già la conosci appieno. Tu mi circondi, mi stai di fronte e alle spalle, e poni la tua mano su di me. La conoscenza che hai di me è meravigliosa, troppo alta perché io possa arrivarci. (…) le tenebre stesse non possono nasconderti nulla e la notte per te è chiara come il giorno; le tenebre e la luce ti sono uguali. Sei tu che hai formato le mie reni, che mi hai intessuto nel seno di mia madre. Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo stupendo. Meravigliose sono le tue opere, e l’anima mia lo sa molto bene. Le mie ossa non ti erano nascoste, quando fui formato in segreto e intessuto nelle profondità della terra. I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che mi eran destinati, quando nessuno d’essi era sorto ancora. Salmi, 139:1-6 e 12-16
Dio ci invita a un rapporto di puro amore. Non è interessato a quello che possiamo fare esteriormente per piacergli, ma piuttosto al nostro desiderio di conoscerlo e di stare con Lui. Dice espressamente: … io desidero amore, non sacrifici, e la conoscenza di Dio più degli olocausti. Osea, 6:6
Se accettiamo il suo invito, ci nutriremo di questo suo amore, come lui si nutrirà del nostro. Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me. Apocalisse, 3:20
La conoscenza di Dio è una relazione reciproca. Il genitivo vale nei due sensi, oggettivo e soggettivo: non è solo la conoscenza che noi possiamo avere di Lui, ma anche e soprattutto quella che Lui ha di noi. Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. (…) Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Giovanni, 10:14-15 e 27
Scrivendo ai Galati, l’apostolo Paolo esprime la stessa idea, anche se solo incidentalmente. … ora che avete conosciuto Dio, o piuttosto che siete stati conosciuti da Dio, come mai vi rivolgete di nuovo ai deboli e poveri elementi, di cui volete rendervi schiavi di nuovo? Galati, 4:9 La differenza tra la conoscenza di Dio e quella degli uomini è così quella che passa tra la misericordia e il giudizio. Perché il problema vero è quello del punto di vista dal quale viene fatta la descrizione: se uno si mette da una parte come osservatore esterno per giudicare le persone e le loro azioni, oppure si include nel soggetto a cui attribuisce quel certo predicato. Le descrizioni possono essere più o meno amorevoli, a seconda che ci si senta o meno una stessa realtà con il soggetto della descrizione: in generale ci si ama quando si vuole essere una stessa cosa e non ci si vede più dall’esterno. Allora non ci sono più immagini bloccate, ma libertà e vita assieme. Anche nella società e nei nostri rapporti interpersonali, possiamo tendere a dare e ricevere delle descrizioni dall’esterno oppure da dentro. Nel secondo caso, c’è fiducia e spazio per vivere, mentre nell’altro governa "il desiderio degli occhi" e la volontà di potere e di controllo sul prossimo. L’imperio dell’uomo ha bisogno di stendardi e di immagini (come i ritratti dei vari dittatori sulle monete o nelle piazze, le foto identificative negli archivi della polizia e negli uffici dell’anagrafe; mappe, immagini da satellite, esami diagnostici…), segni per marcare il proprio territorio e per riconoscere il nemico.
È attraverso questa conoscenza "visiva" che Gesù è stato tradito e arrestato. Poi tornò dai discepoli e disse loro: «Dormite pure oramai, e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina, e il Figlio dell’uomo è dato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce è vicino». Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei dodici, e insieme a lui una gran folla con spade e bastoni, da parte dei capi dei sacerdoti e degli anziani del popolo. Colui che lo tradiva, aveva dato loro un segnale, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; prendetelo». E in quell’istante, avvicinatosi a Gesù, gli disse: «Ti saluto, Maestro!» e gli diede un lungo bacio. Matteo, 26, 45-50
Ma, come ha detto Pietro il giorno della prima Pentecoste dopo la risurrezione di Gesù, non era possibile che Cristo fosse trattenuto dagli "angosciosi legami della morte" (Atti, 2:24). La volontà di controllo che porta l’uomo a farsi delle immagini sempre più precise della realtà che ci circonda non ha potuto bloccare in un’immagine Colui che è "la via, la verità e la vita" (Giovanni, 14:6) e che ha anche detto "Io sono la resurrezione e la vita" Giovanni, 11:25 A differenza dai grandi di questo mondo, il Signore Gesù non è venuto in modo da farsi notare ("il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi", Luca, 17:20). Se è stato necessario che qualcuno lo identificasse tra i suoi discepoli, non c’era evidentemente nessun segno esteriore che permettesse di farlo senza l’aiuto di qualcuno che lo conoscesse (come invece avviene normalmente nei gruppi umani e anche animali, in cui si vede subito chi è il capo o il maschio dominante). Gesù ha sempre fuggito gli onori e non ha lasciato alcuna immagine fisica di sé. Non era certamente sua intenzione di portare il popolo a trasgredire il divieto dato a Israele attraverso Mosè di farsi delle immagini e di adorarle (divieto che non ha smesso di ricordare anche attraverso i suoi discepoli: "Figlioli, guardatevi dagl’idoli", 1 Giovanni, 5:21). È venuto non a mostrare sé stesso, ma piuttosto a donarci la conoscenza misteriosa del Dio vivente che ce lo ha mandato. Gesù dunque, insegnando nel tempio, esclamò: «Voi certamente mi conoscete e sapete di dove sono; però non son venuto da me, ma colui che mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui, ed è lui che mi ha mandato». Giovanni, 7: 28 29
Dopo la sua resurrezione, i suoi stessi discepoli non lo riconoscevano più per le sue fattezze, ma solo per i suoi gesti e per le sue parole (cfr. per es., Giovanni, 20:14 e Luca, 24:16). Questo perché Dio vuole che lo amiamo e lo adoriamo in spirito e verità (Giovanni, 4:23-24), cioè con il cuore (e non solo con la bocca e i gesti esteriori) intrattenendo con Lui un vero rapporto (e non solo la forma di un rapporto, cfr. 2 Timoteo, 3:5). Non vuole che adoriamo "la creatura invece del Creatore" (Romani, 1:25), perché di una creatura ci facciamo facilmente un’immagine e con questo la fissiamo in una realtà morta. Su questa terra, Gesù è stato adorato solo quando non poteva diventare un’immagine, perché non poteva essere riconosciuto per la sua faccia. Infatti, è stato adorato dai magi d’oriente quando era un bambino di pochi mesi (e non correva certo il rischio di diventare un’immagine, dato che i bambini cambiano continuamente i loro lineamenti e vengono riconosciuti quasi solo dai loro genitori).
Poi, dopo la resurrezione, è stato adorato anche dai suoi discepoli (Matteo, 2:11; Matteo, 28:8 e 17). Ma aveva ormai un corpo nuovo e, appunto, i discepoli, quando lo riconoscevano, lo riconoscevano solo per rivelazione. Non sono le nostre esperienze naturali che ci fanno conoscere Cristo. Paolo scrive: …da ora in poi, noi non conosciamo più nessuno da un punto di vista umano [lett. secondo la carne]; e se anche abbiamo conosciuto Cristo da un punto di vista umano [secondo la carne], ora però non lo conosciamo più così" 2Corinzi, 5:16
Anche per noi, oggi, la conoscenza di Dio non deriva da quello che possiamo aver visto e capito con i nostri sforzi carnali. Non viene dalla nostra cultura, neanche da quella religiosa. In quel tempo Gesù prese a dire: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto. Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo. Matteo, 11:25-27
Ma anche questa conoscenza che deriva dalla rivelazione è incompleta e ancora solo parziale. … Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto. 1Corinzi, 13:8-12
Nella condizione in cui ci troviamo attualmente, il nostro amore per Dio è ancora molto intermittente (finché siamo in questo corpo naturale, siamo "assenti dal Signore", 2Corinzi, 5:6). Per questo, la nostra conoscenza di Dio si mescola facilmente all’orgoglio. Ma questa conoscenza imperfetta verrà sostituita da quella perfetta, che è la conoscenza dell’amore. …La conoscenza gonfia, ma l’amore edifica. Se qualcuno pensa di conoscere qualcosa, non sa ancora come si deve conoscere; ma se qualcuno ama Dio, è conosciuto da lui [o anche: quello lo conosce]. 1Corinzi, 8:1-3
Quando conosceremo Dio in questo modo perfetto, non ci sarà più bisogno di insegnanti e di insegnamenti. Poiché la conoscenza della gloria del SIGNORE riempirà la terra come le acque coprono il fondo del mare. Abacuc, 2:14 Come è stato anche profetizzato nel libro di Geremia «Ecco, i giorni vengono», dice il SIGNORE, «in cui io farò un nuovo patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che feci con i loro padri il giorno che li presi per mano per condurli fuori dal paese d’Egitto: patto che essi violarono, sebbene io fossi loro signore», dice il SIGNORE; «ma questo è il patto che farò con la casa d’Israele, dopo quei giorni», dice il SIGNORE: «io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo. Nessuno istruirà più il suo compagno o il proprio fratello, dicendo: "Conoscete il SIGNORE!" poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande», dice il SIGNORE. «Poiché io perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò del loro peccato». Geremia, 31:31-34 Quest’opera è già iniziata attraverso la dispensazione dello Spirito Santo. È solo lo Spirito santo che ci può dare quell’anticipo di conoscenza di cui abbiamo bisogno per desiderarne di più. … avete ricevuto l’unzione dal Santo e avete tutti conoscenza (…) l’unzione che avete ricevuta da lui rimane in voi, e non avete bisogno dell’insegnamento di nessuno; ma siccome la sua unzione vi insegna ogni cosa ed è veritiera, e non è menzogna, rimanete in lui come essa vi ha insegnato. 1Giovanni, 2:20 e 27
Anche attraverso predicatori e insegnanti che, spinti dalla Spirito di Dio, incoraggiano a conoscere Dio e a cercare la sua sapienza, è comunque sempre il Signore ad agire. È Lui che ci conosce (questo rimane il "solido fondamento di Dio", come è scritto in 2Timoteo, 2:19) ed è Lui che si fa conoscere. È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo, fino a che tutti giungiamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo; affinché non siamo più come bambini sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina per la frode degli uomini, per l’astuzia loro nelle arti seduttrici dell’errore; ma, seguendo la verità nell’amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo. Da lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare sé stesso nell’amore. Efesini, 4:11-16
Dopo la resurrezione, Gesù ha detto ai suoi discepoli: «Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch’io mando voi». Giovanni, 20:21 Difatti, secondo la promessa di Gesù (Atti, 1:8), lo Spirito Santo ha dato ai suoi discepoli potenza di testimoniare della risurrezione di Cristo (Atti, 2:32, 3:15, 4:33, …), a rischio della loro stessa vita. Perché questa potenza è precisamente la potenza che ci libera dalla paura della morte. Per conoscere questa potenza, come diceva Paolo, conviene rinunciare a tutto quello che ci dice la nostra naturale conoscenza del bene e del male. .. ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose [le cose di cui avrebbe potuto vantarsi] come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti. Filippesi, 3:7-11
La fede nella risurrezione di Cristo è ciò attraverso cui otteniamo salvezza e cominciamo a uscire dagli schemi di questo mondo e dalle leggi del suo mercato (che sono appunto determinate dalla paura della morte, cioè dell’invecchiamento dell’uomo e della Terra; come dimostra la legge universale della svalutazione). … la giustizia che viene dalla fede dice così (…) «La parola è vicino a te, nella tua bocca e nel tuo cuore»: questa è la parola della fede che noi annunziamo; perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato; infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati. Difatti la Scrittura dice: «Chiunque crede in lui, non sarà deluso». Romani, 10:6-11
La fede nella risurrezione che riceviamo dalla parola di Dio ci dà la forza per vincere i micidiali effetti della conoscenza del bene e del male, ereditando la vita eterna e il coraggio di predicare il vangelo di Cristo. Questa fede è l’unica via per amare Dio e il nostro prossimo, anche quando non ci sembra affatto che loro ci vogliano bene. Come fece Abramo, quando si incamminò a sacrificare al Signore il suo unico figlio. Per fede Abraamo, quando fu messo alla prova, offrì Isacco; egli, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito. Eppure Dio gli aveva detto: «È in Isacco che ti sarà data una discendenza». Abraamo era persuaso che Dio è potente da risuscitare anche i morti; e riebbe Isacco come per una specie di risurrezione. Ebrei, 11:17
Dopo aver ripreso Pietro che voleva convincerlo del fatto che non sarebbe dovuto morire, Gesù disse ancora ai suoi discepoli: «Se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà. Che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l'anima sua? O che darà l'uomo in cambio dell'anima sua? Perché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo l'opera sua. In verità vi dico che alcuni di coloro che sono qui presenti non gusteranno la morte, finché non abbiano visto il Figlio dell'uomo venire nel suo regno».
Matteo, 16:24-28 Il regno del Figlio dell’uomo (Gesù) è la vittoria dell’uomo sulla morte, grazie al perdono di Dio per mezzo del sacrificio di Cristo e della sua resurrezione. Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini. Ma ora Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti. Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati, ma ciascuno al suo turno: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta; poi verrà la fine, quando consegnerà il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza. Poiché bisogna ch'egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico che sarà distrutto, sarà la morte. 1Corinzi, 15:19-28
Conoscendo per esperienza la potenza della resurrezione, riceviamo autorità per non seguire più la nostra conoscenza del bene e del male, che ci porta inarrestabilmente alla morte. Se dunque siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra; poiché voi moriste e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria. Fate dunque morire ciò che in voi è terreno: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e cupidigia, che è idolatria. Colossesi, 3:1-5
La parola tradotta con cupidigia (altre volte, con avidità, o avarizia) in greco è pleonexia: il suo significato è etimologicamente collegato con il volere "avere di più". Questo infatti è l’effetto più evidente della conoscenza umana del bene e del male. Mentre gli animali accumulano solo secondo il loro bisogno, noi uomini, credendo di sapere cosa sia bene e cosa sia male per noi e per gli altri, siamo diventati certi del valore del denaro, equivalente generale (e strumento per l’acquisto) di ogni bene che riusciamo a immaginare. Il Figlio dell’uomo ci ha riscattato da questa condizione in cui siamo caduti diventando "peggio delle bestie". Nessuno può servire due padroni; perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona. (…) Non siate dunque in ansia, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?" Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Matteo, 6:24 e 31-32 Mammona (da una parola aramaica solo traslitterata in greco e in italiano, che significa originariamente "mucchio") è il capitale.
La conoscenza di Dio ci libera dalla schiavitù nei confronti del denaro, con il quale crediamo di accumulare la possibilità di acquistare tutto quello che ci serve. La conoscenza del Dio che ci conosce e che ci ama ci dona anzi la possibilità di desiderare ciò di cui non possiamo e non potremo mai farci alcuna immagine né alcuna misura e che diventa la nostra stessa vita, eterna.
O voi tutti che siete assetati, venite alle acque; voi che non avete denaro venite, comprate e mangiate! Venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte! Perché spendete denaro per ciò che non è pane e il frutto delle vostre fatiche per ciò che non sazia? Ascoltatemi attentamente e mangerete ciò che è buono, gusterete cibi succulenti! Porgete l'orecchio e venite a me; ascoltate e voi vivrete; io farò con voi un patto eterno, vi largirò le grazie stabili promesse a Davide. Isaia, 55:1-33
- Accedi per commentare
- 5518 viste