Vi sono nel Nuovo Testamento alcune figure di discepoli, non molto considerate perché esterne alla ristretta cerchia dei dodici, ma con una vita significativa e, per certi aspetti, esemplare per noi. Quanto di loro ci dice la Parola è sufficiente a raccogliere una indubbia ricchezza di insegnamenti e di esempi pratici attravero i quali il Signore vuole incoraggiare il nostro cammino come discepoli di Cristo.

Chiunque segue Cristo è un discepolo

Dopo la resurrezione di Cristo, il titolo discepolo (gr. mathetés), è attribuito a tutti i cristiani, quelli di tutti i tempi (At 6:1-9:10,36). La nostra missione infatti è uguale a quella dei dodici.

Tutti i cristiani sono chiamati a rispondere al comando del Signore Gesù:

“Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo a ogni creatura” (Mr 16:15).

Tutti siamo chiamati a portare la buona novella della salvezza, l’Evangelo della pace a questo nostro mondo che ne ha tanto bisogno, anche se non se ne rende conto.

Il cristiano, secondo Spurgeon, dovrebbe assomigliare a quei gentili fiori di primavera che, quando splende il sole, aprono il loro calice come a dire: “Riempici dei tuoi raggi”; ma se il sole viene nascosto da una nuvola si chiudono e abbassano il capo.

Ma, come scrive l’apostolo Paolo ai Romani, non si può invocare il nome del Signore ed essere salvati senza prima aver creduto in lui; e non si può credere nel Signore senza prima averne sentito parlare; ma non si può sentirne parlare se nessuno annuncia la Parola e nessuno può annunciarla senza averla accolta ed essere stato mandato ad annunciarla dalla Parola stessa.

“La fede viene da ciò che si ascolta e ciò che si  (Ro 10:17).

La fede è ubbidienza, è prestare ascolto alla Parola di Dio proclamata. La predicazione si fonda a sua volta sull’ascolto. Chi predica annuncia ciò che ha udito nella rivelazione

Un uomo fedele e scrupoloso

Sceglieremo ora alcuni esempi di discepoli particolarmente significativi, che ci aiuteranno in modo speciale a capire a quale missione siamo chiamati, e dove e come dobbiamo gettare le reti per condurre a Gesù quante più persone potremo avvicinare. E lo facciamo aprendo l’inizio del Vangelo di Luca.

“Al tempo di Erode, re della Giudea, c’era un sacerdote di nome Zaccaria” (Lu 1:6-5).

Il nome ZACCARIA significa: Dio ricorda, un nome che è tutto un programma.

Zaccaria è sacerdote a Gerusalemme, del turno di Abiia, e tutta la sua esistenza è caratterizzata dalla fedeltà a Dio e alla sua Parola. Dio non dimentica nessuno e il ricordo che ha di noi è la nostra salvezza.

Zaccaria è giusto e irreprensibile e con sua moglie Elisabetta ha costruito la sua vita su una fedeltà scrupolosa ai precetti e ai comandamenti grandi e minuziosi della legge e del popolo eletto Israele. Non è certo poco.

In quei tempi, accanto ai dieci comandamenti, c’era anche un’immensa quantità di precetti relativi alla vita morale, civile e politica del popolo, ai riti durante le feste, alle varie cerimonie, precetti che hanno dato al popolo ebraico la sua fisionomia caratteristica e ne hanno costituito la legislazione.

L’accumulo di tanti precetti formali era iniziato con Esdra (sacerdote e scriba del V secolo a. C.), quando al sacerdote era subentrato il Sofer, lo scriba, l’uomo del libro; non più colui che è in comunione con Dio ma l’interprete delle prescrizioni divine rivelate una volta per tutte: in tal modo la legge finiva per esser considerata essenzialmente una collezione di comandamenti e nient’altro.

Il Signore Gesù protestò contro questa deviazione dai comandamenti divini e dirà:

“Voglio misericordia e non sacrifici” (Mt12:2).

Zaccaria riceve dall’angelo l’annunzio che gli nascerà un figlio; ma, mentre fino a quel momento aveva osservato in modo irreprensibile tutti i comandamenti e i precetti prescritti (Lu 1:6), ora dubita che l’annunzio possa realizzarsi a causa della sua età avanzata (Lu 1:1). Non gli torna nemmeno in mente, come sacerdote, quel che era avvenuto a Sara e ad altre donne dell’Antico Testamento e non si ricorda che nulla è impossibile a Dio.

Il piano di Dio

Zaccaria ed Elisabetta non hanno figli; ma, quando meno se lo aspettano, Dio si ricorda di loro e esaudisce i lamenti e le preghiere di questa coppia che attende un figlio come la più grande benedizione divina.

La fedeltà scrupolosa di Zaccaria al suo mandato sacerdotale lo induce ad aspettare pazientemente anche i momenti del suo servizio liturgico più peculiari, come l’offerta dell’incenso. Poche volte infatti un sacerdote veniva estratto a sorte per offrire l’incenso (Es 30: 7-9; Le 16: 12-13). In senso metaforico l’incenso rappresenta tutte le doti amabili del cuore e della mente (CdC 3:6-4:6; 4:14), il fervore devoto e la preghiera (Sl 141:2).

Nella nube di incenso, Dio svela il suo mistero per renderlo accessibile ai mortali, il mistero di un Dio assente che si rende presente, di un Dio altissimo che scende alla nostra altezza, di un Dio onnipotente che si mette nelle nostre mani.

L’annunzio

Dio rivela a Zaccaria il piano che ha in serbo per lui e lo coinvolge nel movimento di incarnazione della sua parola di salvezza. Dio rivela anche il senso della lunga vita di fedeltà minuziosa del suo sacerdote:

“La tua preghiera è stata esaudita, tua moglie Elisabetta ti partorirà un figlio…” (Lu 1:13).

Zaccaria gode davvero di un grandissimo privilegio: non solo Dio gli promette un figlio, una posterità, segno di benedizione per il popolo di Israele, ma gli promette che questo figlio sarà del tutto speciale, nientemeno che sarà “grande davanti al Signore” (v.15).

Che sarà prosecutore della missione del profeta Elia, missione di preparazione dei cuori all’attesa del Messia, il Figlio per eccellenza, l’Unto da Dio, che abiterà nei cuori di coloro che gli avrebbero da lì in poi aperto le porte:

“Ecco io sto alla porta e busso, se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3:20).

Il dubbio

“Da che cosa conoscerò questo? Perché io sono vecchio...” (Lu 1:1-18).

Zaccaria, che porta il nome di colui che si ricorda sempre e che rappresenta la nostra salvezza, il nostro benessere, la nostra felicità, proprio lui, pone ostacoli. Il suo sguardo di fede non è rivolto alla potenza di Dio ma ai suoi limiti umani. La sua vecchiaia e la sterilità della moglie comunque sono effettivamente segni dell’incapacità dell’uomo di salvarsi da solo. La condizione umana è debole, fragile, pervasa dal peccato. E l’uomo in questa condizione è chiuso alla grazia, refrattario all’intervento di Dio; è un uomo carnale, costretto nei limiti di un’esistenza corporea (Mr 2:8).

Ma Zaccaria è un sacerdote e la sua reazione non è certo degna di un sacerdote, di un uomo di fede a cui Dio vuol chiedere addirittura di annunciare la nascita del Signore Gesù (Lu 1:16-17). Egli non può conoscere nel senso forte, biblico quanto gli viene annunciato; non può, diremmo meglio, aderirvi, non può farlo suo.

Blocco della parola

“Ecco, tu sarai muto… perché non hai creduto alle mie parole” (Lu 1:20).

Che è come dire: “Ti è stata offerta una possibilità: hai fallito, mio caro, mi dispiace, ora sarai punito!” Niente di più sbagliato: dobbiamo ancora una volta uscire dalle categorie umane per comprendere quel che avviene in realtà. Nessun verdetto, nessuna condanna.

Dio prende atto della posizione assunta dal credente, amato e salvato, di fronte alle notizie ricevute (Lu 1:1-19).

Zaccaria non ascolta, non recepisce la parola che Dio gli rivolge per il suo bene e per quello di tutta l’umanità, noi compresi. La mancata accoglienza della parola si muta perciò in impossibilità a trasmetterla. Zaccaria si è giudicato da solo: non si è fidato e diventa muto. Invece di discutere sul contenuto dell’annuncio, Zaccaria dovrebbe rendersi ben conto che è il suo Dio che gli parla: il Dio di Israele, il Dio delle promesse! Quel Dio della vita, che ha già vinto la sterilità delle mogli dei patriarchi per far posto alla sua vera vita, il Dio che abita nel tempio e vuol fare della famiglia levitica un altro tempio, un luogo di accoglienza per colui che sarà grande davanti al Signore (Lu 1:15). Il dono gratuito che Dio fa a Zaccaria è Giovanni (Dio è misericordioso) che sarà detto il Battista per il suo impegno a predicare e a praticare il battesimo di ravvedimento (Luca 3:3-7; Marco 1:14).

Al momento però Zaccaria è muto, non può benedire il popolo, né diventare missionario della buona novella di salvezza e della nascita del precursore del Messia.

Ascolto della Parola

Dio chiede la collaborazione umana. Vuole rendere il sacerdote Zaccaria partecipe e trasmettitore della parola di salvezza universale. Comunque il suo mancato ascolto diventato mutismo non blocca l’iniziativa e i piani divini. La parola di vita giunge comunque a destinazione per mezzo dalla moglie Elisabetta, che riconosce quanto Dio sta operando dentro di lei (Lu 1:25) e si comporta da vero sacerdote, da apostolo, da missionario. Anche per Zaccaria maturerà la resa totale, l’abbandono alla volontà di Dio. Quando ascolterà la Parola accogliendola nel cuore, potrà parlare di nuovo, benedire il Signore e divenire portatore di benedizione (Lu 1:64)!

Così è per noi ancora oggi: non c’è missione senza un vero, profondo, sincero ascolto della Parola di Dio. Un ascolto così cambia radicalmente la nostra vita così come ha cambiato quella di Zaccaria e di sua moglie.

Nella misura stessa in cui il cristiano comprende la realtà del Regno di Dio ed entra a farvi parte attraverso la fede nel Salvatore, ne diventa protagonista, diventa cooperatore dell’iniziativa salvifica di Dio.

Per compiere questa progressiva assunzione di impegno occorre una fede forte ed entusiasta, una fede che non si lascia impressionare dalle grandezze umane, consapevole che quelle di Dio sono infinitamente più splendide!

Ezio Coscia
(Assemblea di Alessandria)

Fonte: Il Cristiano

Autori
Inviato da alex il

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