La quarta crociate
La quarta crociata fu indetta da papa Innocenzo III all’indomani della propria elezione al soglio pontificio nel 1198. Doveva essere diretta contro i musulmani in Terra santa, ma in realtà si risolse nel saccheggio di Costantinopoli da parte dell’esercito crociato, portando alla spartizione dell’Impero bizantino e alla costituzione da parte dei crociati dell’Impero Latino. Nella prima enciclica di Innocenzo III dell’agosto 1198 la liberazione di Gerusalemme è vista come necessaria, ma questo obiettivo non fu raggiunto, solo una piccola parte di crociati raggiunse la Terrasanta.

Dopo il fallimento della terza crociata in Europa ben poco interesse sussisteva per una ripetizione dell’avventura. Gerusalemme era in mano alla dinastia curdo-musulmana degli Ayyubidi che governava la Siria e l’Egitto, eccettuate poche città lungo la costa che erano controllate dal regno di Gerusalemme. La terza crociata aveva anche istituito il regno di Cipro.

La quarta crociata fu predicata ed indetta da Papa Innocenzo III, al secolo Lotario conte di Segni, eletto al trono di Pietro all’età di 36 anni l’8 gennaio del 1198. Il 15 agosto 1198. Dopo pochi mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, il pontefice emanava un’enciclica con la quale incitava i cattolici alla riconquista di Gerusalemme. La reazione degli stati europei non fu proprio entusiasta. I tedeschi erano in polemica con il papa, Francia ed Inghilterra combattevano una delle loro guerre e le città marinare perché avevano i loro interessi in Oriente. Per evitare una scomunica, Venezia chiese al papa addirittura una dispensa alla partecipazione perché affermava di non poter sopravvivere se fossero cessati i traffici con l’Egitto.

Ciononostante, principalmente in seguito alle fervide prediche di Folco di Neuilly, la crociata venne posta in essere in occasione di un torneo tenuto ad Écry-sur-Seine ed organizzato dal il conte Teobaldo di Champagne nel 1199. La crociata stentava tuttavia a partire a causa della morte di Riccardo Cuor di Leone e dell’interdetto lanciato dal pontefice sulla Francia, perché il re aveva ripudiato sua moglie Ingeburge di Danimarca. I nobili francesi scelsero come loro capo il conte Teobaldo di Champagne, che però morì nel marzo 1201; fu Bonifacio I del Monferrato a prendere il suo posto. L’obiettivo era di prendere d’assalto l’Egitto, seguendo il progetto che Riccardo Cuor di Leone aveva prospettato al termine della sua spedizione in Terrasanta, durante la Terza Crociata.

I crociati, memori di quanto successo nelle crociate precedenti, decisero di prendere la via del mare per raggiungere la loro meta. Dal parlamento dei crociati di Compiègne vennero nominati sei plenipotenziari che dovevano provvedere in merito. Scartate Marsiglia e Genova, non rimaneva che Venezia quale potenza marittima che potesse provvedere tempestivamente ai necessari navigli. Vennero iniziate le trattative con la Serenissima e ai primi di febbraio del 1201 la delegazione crociata raggiunse Venezia e venne accolta dal doge Enrico Dandolo. Il doge ascoltò la richiesta dei crociati e rispose di dover consultare innanzitutto le diverse assemblee politiche della repubblica. Faceva parte dei plenipotenziari anche il maresciallo Goffredo di Villehardouin il quale ci tramanda un rapporto delle trattative. Finalmente, nell’aprile, venne stipulato il contratto di trasporto e rifornimento. I Veneziani, da buoni mercanti, per i loro servizi fecero accettare ai crociati il pagamento dell’esorbitante cifra di 85.000 marche imperiali d’argento.

Per quella somma i veneziani avrebbero approntato per la fine di giugno del 1202 navigli bastanti per il trasporto di 4.500 cavalieri con i loro cavalli, 9.000 scudieri e 20.000 fanti. Il contratto prevedeva anche il rifornimento di viveri e foraggio bastanti per il viaggio. Oltre a ciò Venezia s’impegnò ad armare 50 galere che avrebbero accompagnato la crociata in cambio del 50% di quanto conquistato.
I crociati si riunirono a Venezia nel 1202, la Serenissima aveva rispettato il contratto, le navi erano pronte ed i rifornimenti erano disponibili. Rispetto alle previsioni, il numero dei crociati che avevano risposto all’appello del Papa era molto ridotto e il denaro raccolto non bastava a coprire le spese: mancavano ancora 34.000 marche d’argento e Venezia si rifiutò di prendere il mare. Intanto i crociati portavano scompiglio nella città, molestavano le donne, rubacchiavano e compivano altri spiacevoli misfatti. A causa di ciò furono banditi “come appestati” (Zorzi) al Lido dove s’erano accampati in attesa di quanto si doveva decidere. Ma anche per i veneziani la situazione era molto sfavorevole: avevano investito capitali, che temevano di perdere, per soddisfare il contratto e dovevano continuamente rifornire viveri ai crociati accampati in attesa di partire. Mentre una parte dei pellegrini abbandonava l’impresa, oppure decideva di tentare la via di terra, il capo dei crociati, Bonifacio I del Monferrato negoziò un compromesso con il doge, Enrico Dandolo: i veneziani avrebbero partecipato all’impresa e il doge stesso avrebbe assunto il comando della spedizione.

Lo storico e scrittore veneziano Alvise Zorzi afferma che la riconquista di Zara non fu pattuita già dall’inizio ma che era, per così dire, solo latente. Il proposito di riconquistare Zara prese concreta forma durante il viaggio. Il giorno 1 ottobre (secondo Zorzi) ovvero 8 novembre 1202 (secondo lo storico Steven Runciman) la grande flotta si mise in rotta. Goffredo di Villehardouin tramanda che mai fu vista una flotta più bella partire da un porto di mare. Si fermò prima a Trieste e poi a Muggia dove i veneziani chiesero un atto di sottomissione. Arrivati a Zara (ormai sotto l’egida del Regno d’Ungheria) i crociati non vennero però accolti a braccia aperte, anzi la popolazione ostile fece resistenza. Dopo un assedio di cinque giorni avvenne l’assalto alla città che venne presa e saccheggiata. Ormai l’inverno era alle soglie e perciò venne deciso di svernare a Zara.

Quando venne a conoscenza della presa di Zara e del sanguinoso saccheggio il papa inorridì: contro il suo ordine i crociati avevano osato aggredire una città cristiana. Per tale ragione decise di scomunicare la crociata. I diversi baroni dichiararono però di essere stati ricattati e costretti da Venezia alla sciagurata azione; il papa allora tolse loro la scomunica che andò completamente a carico dei veneziani. Il doge Dandolo non si curò molto della scomunica ma prese contatto con Filippo di Svevia (anche lui scomunicato) che doveva convincere il papa a far continuare l’impresa, anche a favore del proprio cognato Alessio IV, cosa che avrebbe portato notevoli vantaggi alla chiesa cattolica.

Difatti, nel frattempo, i crociati avevano ricevuto a Zara un’ambasciata del principe bizantino Alessio IV, figlio dell’imperatore Isacco II, detronizzato, accecato e tenuto in prigione da suo fratello Alessio III. Alessio era riuscito a fuggire dalla prigionia nel 1202 e si era rifugiato presso sua sorella in Germania, moglie di Filippo di Svevia. In precedenza Alessio aveva già contattato Venezia da Verona. La proposta del principe bizantino era quella di ottenere la collaborazione dei crociati per riappropriarsi del trono in cambio di aiuti militari (10.000 soldati) oltre denaro e generi di consumo ai crociati, riunione delle due Chiese e favorevoli accordi mercantili con Venezia. A Venezia promise anche di pagare la somma che i crociati non avevano pagato, promise inoltre di voler sostenere le spese di 500 cavalieri che dovevano rimanere in Terra Santa. Il papa, allettato dalla prospettiva della riunione con la chiesa ortodossa si fece convincere, tolse la scomunica e dette il suo permesso per la continuazione dell’impresa e della detronizzazione dell’usurpatore Alessio III. Il doge Dandolo fu felicissimo di accontentare il papa e di assicurare a Venezia enormi vantaggi. Ad alcuni crociati però non piaceva la prospettiva di assalire un’altra città cristiana in luogo di combattere i musulmani, si separarono dal resto dei crociati e fecero vela in direzione della Siria. Il 25 Aprile 1203 Alessio IV arrivò a Zara ed alcuni giorni dopo la flotta spiegò le vele in direzione di Costantinopoli. Venne fatta una sosta a Durazzo, dove Alessio fu riconosciuto quale imperatore, ed un’ulteriore sosta venne fatta a Corfù. Finalmente il 24 giugno Costantinopoli venne avvistata. Dopo aver fatto invano il tentativo di occupare Calcedonia e Crisopoli i crociati sbarcarono a Galata, riuscirono a far saltare la catena che difendeva il Corno d’Oro ed entrarono nel porto di Costantinopoli.

Alessio aveva fatto capire ai crociati e ai veneziani che sarebbero stati accolti con gioia dalla popolazione, invece trovarono le porte sbarrate e le mura folte di difensori. Il 17 luglio, dopo alcuni giorni di aspra battaglia, i veneziani riuscirono ad aprire una breccia nelle mura ed entrare nella città.

Alessio III, vista la mala parata, aveva arraffato quanto poteva del tesoro imperiale e si era dato alla fuga portando con se la figlia. Isacco II venne liberato dal carcere e si dichiarò pronto a confermare le promesse fatte ai crociati dal figlio che nominò correggente il 1 agosto 1203, con appropriata cerimonia nella chiesa di S. Sofia ed alla presenza di tutti i baroni della crociata.

Un conto è fare delle promesse ed un altro il mantenerle. Le casse del regno erano vuote, l’unione delle due chiese era fortemente osteggiata sia dal clero sia dal popolo. I crociati rimanevano accampati fuori delle mura ed attendevano una decisione. Alessio cercava di tergiversare e di tacitare i comandanti dei crociati con dispendiosi regali, cosa che ne accentuò la cupidigia. In città le ivi residenti colonie dei mercanti genovesi e pisani venivano assalite dal popolo esacerbato. Alessio peggiorò le cose imponendo nuove e gravose tasse per racimolare fondi per acquietare i crociati che cominciavano a fare la voce forte. Si fece nemico anche il clero confiscando i candelabri d’argento delle chiese che fece fondere. La scontentezza degli abitanti cresceva nel vedere quei superbi cavalieri che scorazzavano in città. La soldataglia latina aveva bisogno di viveri e faceva per conto suo scorribande. Cominciarono atti di aperta ostilità contro i crociati che venivano anche aggrediti per le strade. Alcuni di essi, che avevano saccheggiato una moschea, vennero aggrediti dai “greci” e per difendersi appiccarono il fuoco ad alcune case. L’incendio si propagò e per giorni una parte di Costantinopoli fu preda delle fiamme. Venne fatto anche un tentativo di incendiare le navi veneziane che però non ebbe successo alcuno.

Si venne ad una rivolta, capeggiata da Alessio V detto “Murzuflo”, cugino di Alessio IV, che aveva precedentemente appoggiato l’usurpazione di Alessio III. Alessio IV venne catturato e strangolato, Isacco II morì misteriosamente poco dopo, forse quale conseguenza dei patimenti ricevuti in carcere forse per mano di Alessio V. Salito al trono, Alessio V rifiutò qualsiasi pagamento ai crociati ed ai veneziani ed impose loro di lasciare la “sua” città e il “suo” dominio.

I crociati non avevano però la minima intenzione di ritornare in patria senza alcun bottino. Ora avevano addirittura un buon motivo di assalire la città e di sostituire quel governo corrotto e voltagabbana con quello di un imperatore latino. Per organizzare la conquista vennero fatti accurati piani. Una lettera del papa che proibiva l’azione venne intercettata dai comandanti dei veneziani. Nacque però una disputa su chi doveva coprire l’alta carica. Filippo di Svevia era lontano e per soprappiù scomunicato, Bonifacio I del Monferrato era inviso ai veneziani perché lo consideravano troppo ambizioso e, peggio ancora, nutriva rapporti con i genovesi. Si decise allora che una commissione composta di sei crociati e sei veneziani avrebbe nominato un imperatore dopo la conquista della città. Se l’eletto fosse stato uno dei crociati ai veneziani sarebbe andata la carica di Patriarca e viceversa. All’imperatore sarebbe andato il palazzo imperiale, il Palazzo delle Blacherne, un quarto della città ed un quarto del regno. I crociati ed i veneziani si sarebbero spartiti i restanti tre quarti. Il bottino sarebbe stato diviso in parti uguali. Il contratto sulla spartizione, noto come Partitio Terrarum Imperii Romaniae, venne firmato nel marzo del 1204.

In previsione di un attacco dei crociati Alessio V fece rinforzare le mura e organizzò la difesa. Il primo attacco dei crociati venne sferrato il 9 aprile 1204 ma venne respinto e procurò solo forti perdite. Il 12 aprile venne fatto un nuovo tentativo e questa volta i veneziani ricorsero ad uno stratagemma. Avevano costruito piattaforme sulle cime degli alberi delle navi, poi avevano inclinato le imbarcazioni fino a che le piattaforme andavano a toccare le mura. Il veneziano Pietro Alberti fu il primo a saltare sulle mura di una torre nemica, ma fu subito ucciso. Venne seguito da un francese, André Dureboise, che riuscì a resistere all’attacco dei difensori permettendo ad altri veneziani e crociati di occupare le mura. Poco tempo dopo le porte della città vennero aperte dagli attaccanti penetrati all’interno; per Costantinopoli, “la Città”, non ci fu più scampo. Alessio V s’era rifugiato con alcune truppe nel suo palazzo imperiale. Nella notte, forse perché temevano un attacco di sorpresa, alcuni crociati tedeschi appiccarono il fuoco a delle case e nuovamente l’incendio divampò in città. Vista l’impossibile situazione, Alessio V si dette alla fuga. Durante quella notte dove regnava il caos a Costantinopoli, visto che l’imperatore era scappato, fu eletto imperatore Costantino XI Lascaris, che ordinò una sortita contro i crociati, guidata dal fratello del nuovo imperatore, il generale bizantino Teodoro Lascaris (futuro imperatore di Nicea) non ebbe successo alcuno.
Il giorno dopo ebbe inizia il grande saccheggio nel quale, come tramandano i cronisti, i cavalieri crociati diedero prova della più raggelante e efferata barbarie mai provata fino ad allora. Mentre Bonifacio di Monsarrat occupava il palazzo imperiale del Boukoleon che, secondo Roberto di Chiari aveva ben 500 stanze tutte riccamente addobbate e ben trenta capelle, gli scatenati crociati entravano nelle case ed asportavano qualsiasi cosa di valore che avessero trovavo. Tutte le chiese vennero spogliate dei vasi sacri, delle icone, delle vite dei rifugiati, dei candelabri e quanto non si poteva asportare veniva semplicemente distrutto. Anche la basilica di S, Sofia venne completamente saccheggiata, l’altare venne spezzato, gli arazzi fatti a pezzi. Un cronista dell’epoca, testimone oculare, tramanda che una prostituta, seduta sul trono del patriarca, cantava strofe oscene in lingua francese. Mentre i veneziani si concentravano su quelle cose che avevano un grande valore, i francesi arraffavano tutto quello che luccicava, si fermavano solo per ammazzare e violentare. Le cantine vennero depredate, i quasi cinquemila palazzi della città, i quali, secondo fonti, custodivano i due terzi di tutte le proprietà mondiali accumulate fino ad allora, vandalicamente saccheggiati e dati alle fiamme. La città era piena di soldataglia avvinazzata che trucidava chiunque trovasse lungo il cammino. Gli indifesi cittadini venivano torturati perché rivelassero dove avevano nascosto i loro valori.
I conventi vennero presi d’assalto, le monache stuprate. Vecchi, donne e bambini giacevano in pozze di sangue per le strade, già morti o morenti. L’inferno durò per 14 giorni .
Infine i comandanti degli assalitori intervennero, dettero ordine di cessare il saccheggio (tanto ben poco era rimasto da depredare) ed ordinarono che qualsiasi bottino doveva essere portato in tre chiese e sorvegliato da fidatissimi crociati e veneziani. Questo perché il contratto prevedeva la spartizione dei beni saccheggiati: tre ottavi ai veneziani, tre ottavi ai crociati; il restante quarto era destinato al futuro imperatore. Fra l’altro i veneziani portarono a casa i quattro cavalli di bronzo che ornano (attualmente in copia) la Basilica di San Marco, l’icona della Madonna Nicopeia e molte preziose reliquie che ancora sono serbate nel tesoro di San Marco. Così ebbe fine la quarta crociata che istituita con l’intenzione di combattere i saraceni, aggredì e saccheggiò unicamente paesi cristiani.

Prima conseguenza fra tutte fu quella di decretare l’opaca, ambita e sconsiderata fine dell’Impero dei Romani, e la distruzione di gran parte del patrimonio artistico e culturale classico, ellenistico e alto medioevale conservato fino ad allora. Da parte dei barbari, una seconda volta.

Finita la strage ed il saccheggio si venne alla spartizione del bottino, che alcuni storici calcolano di circa 900.000 marche imperiali d’argento oggi equivalenti a molte centinaia di milioni di Euro. Il calcolo è però difficile perché molti degli oggetti artistici depredati e perduti hanno un valore incalcolabile. Poi si passò all’elezione dell’imperatore latino. Bonifacio del Monferrato sperava sempre di essere eletto ma trovò la forte opposizione dei veneziani. All’inizio i comandanti crociati avevano offerto al vecchio doge veneziano il titolo di imperatore, ma il Dandolo rifiutò, quindi i comandanti crociati e quelli veneziani furono d’accordo nell’eleggere il conte Baldovino IX di Fiandra che prese possesso del trono di Costantinopoli. Parte del regno però andò a Venezia, secondo quanto previsto dal contratto. Per ampliare la propria potenza marittima Venezia reclamò ed ottenne la costa occidentale della Grecia, tutto il Peloponneso (Morea), Nasso, Andros, Eubea (oggi Negroponte), Gallipoli (Turchia), Adrianopoli e i porti della Tracia sul Mar di Marmara. Da allora il Doge assunse il titolo di “Dominus quartae partis et dimidiae totius Imperii Romaniae”, cioè Signore di un quarto e mezzo dell’Impero Romano d’Oriente. I veneziani pretesero anche tre ottavi della città di Costantinopoli ed occuparono il quartiere dove è oggi ubicata l’Agia Sofia, ex Cattedrale di Santa Sofia. Inoltre ai Veneziani andò successivamente l’importante isola di Creta, venduta da Baldovino I in cambio di denari sonanti che andarono a riempire le vuote casse imperiale. A ricoprire la carica di patriarca venne nominato il nobile veneziano Tommaso Morosini. Baldovino venne incoronato in pompa magna il 16 maggio 1204 nella Cattedrale di Santa Sofia.

Alla notizia degli orrori compiuti e della barbarie dimostrata dai crociati Innocenzo III fu esterrefatto. Inorridito scrisse lettere a Costantinopoli deplorando e condannando che, senza il suo sapere, Stato e Chiesa erano stati divisi; ma ciò non cambiò la situazione. Il suo dispiacere crebbe ancora quando venne a sapere che il suo legato, Pietro di San Marcello, aveva svincolato i crociati dalla promessa di liberare Gerusalemme. La crociata da lui predicata ed indetta si era tramutata in una guerra tra stati cristiani. Le atrocità commesse dai crociati durante il saccheggio di Costantinopoli non contribuirono certamente a migliorare i rapporti fra la Chiesa ortodossa e quella cattolica di Roma. Le due Chiese rimasero separate dal 1054 fino al giorno d’oggi.

Nonostante alcuni tentativi di riconciliazione al secondo Concilio di Lione (1276) e al Concilio di Firenze (1439), falliti in quanto semplici mosse politiche non riconosciute dalla gerarchia ortodossa, le due Chiese si estraniarono sempre più l’una dall’altra. Bisognerà aspettare il 1964, quando papa Paolo VI e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora si scambieranno reciproci saluti e, dopo nove secoli, aboliranno le rispettive scomuniche. Il 4 maggio 2001 il Papa Giovanni Paolo II in visita ad Atene chiese perdono a Christodoulos, arcivescovo ortodosso di Atene e di tutta la Grecia, per il sacco di Costantinopoli. La visita si svolse in un difficile clima, dovuto dal dissenso espresso da una parte della comunità ortodossa.

Fonte: http://www.mondoraro.org/

Inviato da alex il

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