"In questa chiesa non c'è amore!" dice Giorgio. E se ne va dalla chiesa sbattendo la porta. Qual è stato il meccanismo subdolo che lo ha portato a pronunciare una simile frase? Come si è avviato il processo che lo fa allontanare dalla chiesa?
Chi esce sbattendo la porta è, certamente, qualcuno che prima vi è entrato. Ha iniziato con sincero entusiasmo, cercando di rendersi utile. A volte, gli sono stati affidati degli incarichi più o meno importanti. Altre volte si è rilassato felicemente, godendo la bellezza di amicizie sincere.
All'inizio tutte le amicizie lo sembrano. Ma non passa molto tempo, che qualcosa comincia a girare per il verso sbagliato.
Una parola non capita, un desiderio non soddisfatto, una decisione non condivisa, un torto (involontario) subito, una telefonata mai ricevuta, un invito mai avuto e si arriva a dire: "Intorno a me vedo solo ipocrisia, tanti falsi sorrisi".
Il passo successivo è una chiusura ostile, nel proprio guscio e un poco convincente: "A me basta il Signore". Fino a che una goccia non fa traboccare il vaso.
È sufficiente una piccola goccia, se non si è pronti a perdonare un'ingiustizia subita.
E così si passa dalla ragione al torto, a danno di tutta la chiesa, ma in modo particolare di chi si è sentito offeso.
Le prime conseguenze negative su chi non perdona sono una cecità ed una sordità spirituali, che non gli permettono più di riconoscere i gesti d'amore.
Infatti, chi non perdona, oltre a non essere in grado di dare amore, diventa anche incapace di riceverne.
Se, ad un certo punto, Giorgio, o altri come lui, avesse deciso di perdonare, avrebbe evitato tante ripercussioni e conseguenze sfavorevoli.
Altre volte, il perdono è parziale e insufficiente. Sbrigativo. Si perdona una, due, tre volte. Alla quarta si dice: "Basta".
Il perdono è difficile da praticare, tanto che si sono sviluppate delle astute casistiche che giustificano e avallano dei limiti che Gesù non ha mai messo.
Uno che ci ha provato è stato l'apostolo Pietro, che voleva sapere a che punto avrebbe potuto alzare la voce, o le mani, contro il recidivo. «Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca
contro di me? Fino a sette volte?» ha chiesto.
La risposta di Gesù l'ha zittito: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette».
Questa lezione Giorgio non l'aveva imparata.
È molto difficile essere misericordiosi verso gli altri.
Di persone davvero insopportabili ne abbiamo conosciute tutti, ma se Dio dovesse perdonare solo quelle che sono simpatiche e affabili, che ne sarebbe di me?
La soluzione al problema del perdono, e quindi della misericordia, sta nel ricordare sempre quello che Dio ha fatto per noi .
Nei salmi è scritto: "Come è lontano l'oriente dall'occidente,
così ha egli allontanato da noi le nostre colpe". Dio non ci considera più colpevoli, non perché il nostro peccato non esista, ma per la sua decisione precisa di fare grazia a un colpevole pentito. Il suo perdono è per sempre, perché quando
Dio fa un dono, non torna più sulle sue decisioni. Lui arriva a dire che non si ricorda più del torto ricevuto e che getta i nostri peccati in fondo al mare.
Purtroppo, però, noi non siamo come Dio e non sappiamo premere il tasto delete. A volte, anche dopo un tentativo di chiarimento rimane ancora un certo dispiacere in fondo al nostro cuore. Perché?
Per noi ci vogliono pazienza e impegno, come in una convalescenza, per guarire da una ferita. Che cosa succederà dopo? L'amicizia ne uscirà più forte? O sarebbe sempre offuscata da un 'ombra?
Questo pensava Giorgio quando ha sbattuto la porta, borbottando: "Qui non c 'è amore! ". Evidentemente non aveva perdonato davvero. A quel punto, a meno di un miracolo, la situazione sarebbe diventata irrisolvibile.
Marco Albanesi
Da: Punti Fermi
Rivista trimestrale di informazione cultura evangelica
Anno II n. 2 - Aprile Giugno 2001
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