In un post precedente (su Facebook) mi sono chiesto: «Come può un universo senza scopo essere popolato da esseri ossessionati dallo scopo?»
Un interrogativo che tocca il cuore del paradosso umano: la ricerca di senso in un cosmo che, apparentemente, non ne ha.

Il suo campo magnetico e la sua atmosfera non solo creano le condizioni necessarie alla vita, ma la proteggono con una precisione straordinaria — schermando le radiazioni cosmiche, mitigando i raggi solari, preservando l’equilibrio termico.
Tra tutti i pianeti del Sistema Solare, e tra quasi seimila esopianeti scoperti, nessuno presenta una combinazione così perfetta.

E allora viene spontaneo chiedersi: come può un sistema inanimato, privo di coscienza, essere così attento alla conservazione della vita che ospita sulla propria “pelle”?

Stephen Hawking sosteneva che l’universo non ha bisogno di un Creatore, perché è governato da leggi fisiche che spiegano ogni cosa.
Eppure — se accettiamo questa prospettiva — sorge spontaneo un altro interrogativo:
come può un insieme di leggi cieche e impersonali proteggere qualcosa, come la vita, senza sapere nemmeno che esiste e senza che nessuno glielo abbia chiesto?

È davvero solo un caso che la materia, governata da regole matematiche, si comporti come se custodisse un tesoro?
O c’è, nascosto dietro la perfezione delle leggi, un’impronta di intenzione che non riusciamo ancora a decifrare?


Qualche settimana fa proposi la frase
"Un universo privo di senso ha in sé esseri ossessionati dal senso."
ovviamente il caro Davide Galliani · divulgatore teologico mi fece notare che poteva cadere in un bias, cosa probabile ma evitabile con le dovute premesse... allora cerco di spiegarmi meglio così:
“Un universo privo di senso ha in sé esseri ossessionati dal senso.”
Questa frase racchiude una tensione che, a mio avviso, è una delle più affascinanti di tutta la storia del pensiero umano.
Se davvero l’universo è nato dal nulla, senza intenzione, senza direzione e senza scopo, allora dovremmo aspettarci un cosmo di pura materia che segue cieche leggi fisiche.
Eppure, proprio in questo universo apparentemente impersonale, emergono esseri come noi — capaci non solo di osservare, ma di comprendere; non solo di sopravvivere, ma di chiedersi perché.
La scienza ci spiega come funziona l’universo, e lo fa in modo straordinario, diciamo ci prova e in gran parte ci riesce anche se rimangono enormi "buchi" (non sempre neri) da colmare.
Ma la domanda del perché — del significato, della ragione ultima — resta fuori dalla portata del metodo scientifico.
Le leggi della fisica possono descrivere il moto dei pianeti o la struttura del DNA, ma non possono dirci perché esistano menti capaci di comprendere quelle leggi, o perché queste menti provino il bisogno profondo di trovare un senso.
Secondo una visione puramente naturalistica, la coscienza e la ricerca di significato sarebbero il prodotto di mutazioni casuali e selezione naturale.
Ma la coscienza non è un semplice riflesso biologico. È la capacità di distinguere il vero dal falso, il bene dal male, il giusto dall’ingiusto — categorie che non si spiegano con la sola chimica del cervello.
Il filosofo Thomas Nagel, che non è credente, ha ammesso che un universo del tutto privo di intenzione non sembra in grado di produrre menti che ragionano su se stesse.
Forse, allora, non siamo un incidente cosmico.
Forse la nostra incessante ricerca di significato non è un errore evolutivo, ma un indizio.
Un segnale che l’universo non è privo di senso, ma impregnato di razionalità — la stessa razionalità che riflette, in forma finita, quella di una Mente infinita.
Perché, in fondo, se l’universo fosse davvero assurdo, il semplice fatto che noi possiamo capirlo sarebbe il più grande dei paradossi.
 
Aldo Benincasa


 

Inviato da alex il

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