La riconoscenza è frutto della fede
Questo racconto evidenzia quanto la riconoscenza e la gratitudine siano sentimenti che raramente albergano nell'animo umano.
Di dieci uomini afflitti dalla lebbra, che gridano a Gesù implorando pietà e che vengono esauditi con la "purificazione" dalla malattia, uno solo, un samaritano, sente impellente il bisogno di glorificare Dio e tornare immediatamente a Gesù per ringraziarlo buttandosi faccia a terra ai suoi piedi riconoscendolo, a modo suo, come Signore.
Degli altri nove, "purificati" non si sa nulla; hanno incassato la guarigione come una elemosina e se ne sono andati per i fatti loro.
Riconoscenza, gratitudine?
Niente di niente. Gli è andata bene, quindi tiriamo a campare.
Probabilmente erano Israeliti e nel loro modo di pensare, la guarigione non era per Dio un fatto straordinario: Dio ha visto, ha sentito ed ha provveduto; dal canto loro hanno adempiuto alla ritualità mosaica indicata da Gesù ritenendola sufficiente per tacitare la coscienza e sentirsi "a posto"; nella loro coscienza l'obbedienza al rito ha sostituito il sentimento di riconoscenza.
Al samaritano (persona ritenuta religiosamente equivoca ed inaffidabile) Gesù riconosce invece che il glorificare Dio e ringraziare lui in quel modo è sinonimo di fede, una fede che porta alla salvezza, alla guarigione totale e reale oltre che del corpo anche dello spirito; una purificazione che va al di là dei confini dell'ortodossia religiosa giudaica.
Se ne deduce che gli altri nove non erano motivati dalla fede, ma solo dal desiderio di star meglio, di garantirsi una vita meno tribolata, anche religiosa con i suoi adempimenti di legge, ma priva della fede che salva e che libera dal potere del male.
Solo la fede sa riconoscere i benefici ricevuti; la gratitudine ne è il segno manifesto; al contrario la mancanza di gratitudine è segno altrettanto manifesto della mancanza di fede.
Due imperativi da ubbidire!
Questo racconto ci induce a meditare sul senso della fede riconoscente e grata vissuta oggi, in giorni difficili nei quali siamo chiamati ad una testimonianza non solo rituale.
La fede che salva e che libera, non è quella che spera sempre e soltanto di ricevere benefici bensì quella che vive con gratitudine in funzione del beneficio ricevuto.
Infatti dicendo al samaritano: "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato", Gesù indica a quell'uomo riconoscente la via del servizio e di testimonianza vivente della potenza del Messia.
È stato riconosciuto dal samaritano come Signore e come tale egli si esprime; è necessario esplicare questi imperativi; cogliere il significato profondo del messaggio che contengono.
Propongo qualche ipotesi.
Alzati: non stare faccia a terra, non ce n'è più bisogno; per fede sei entrato nella schiera dei santi, devi stare ritto davanti a Dio e davanti agli uomini, (Gesù non era solo in quel momento), ne hai la dignità; non devi più dimostrare a nessuno, tantomeno a Dio, che sei umile e consapevole dei tuoi limiti, questi infingimenti d'ora in poi lasciali agli ipocriti.
Non è più necessaria la riconoscenza formale del "suddito" perché nel regno di Dio non ci sono sudditi ma figli e fratelli in Gesù Cristo; da questo momento evita di ripiegarti su te stesso e sii sempre consapevole della posizione in cui ti trovi perché la guarigione ti ha conferito una dignità nuova e reale.
Va': muoviti, intraprendi un cammino nuovo; con la convinzione con la quale sei venuto a me, ora va' verso gli altri; mi hai riconosciuto come Signore, ma d'ora in poi devi sapermi riconoscere nel tuo prossimo come io mi sono riconosciuto in te liberandoti dal male; sei salvato, sei un uomo libero, libero dalla malattia e dal peccato; ora puoi servirmi con convinzione e con determinazione; sei un servo del regno che viene come anch'io sono venuto per servire e non per essere servito.
Il tuo muoverti, andare e venire, agire da solo o con altri, farti una famiglia, avere figli, lavorare e guadagnare denaro non può prescindere da questo mandato: io servo l'umanità intera tu servi i tuoi fratelli; sii testimone della nuova vita che è in te; la tua riconoscenza e gratitudine si manifestino sempre verso di me e agli uomini concretamente!
Agire senza la gioia della riconoscenza
Torniamo un momento a riflettere sui nove che hanno ubbidito a Gesù andando dai sacerdoti tralasciando di ringraziarlo.
Osservo che molti (troppi) cristiani, purtroppo, assomigliano più a questi nove anziché al samaritano; si sentono purificati dalla Parola di Cristo, compiono gesti rituali importanti e decisivi come il battesimo e la cena, vivono di speranze, si confessano liberi, sovente si emozionano gioendo o piangendo, ma il loro agire, nel vivere quotidiano, non appare come frutto di riconoscenza e gratitudine piuttosto come una omologazione formale ad un insieme di dottrine bibliche autorevoli, limitandosi a trovare in questo la legittimazione della loro fede e della loro vita.
Per questo motivo non sanno esprimere la fede con gioia; lamentano piuttosto con insistenza i malanni prodotti da questo mondo individuandone tutti gli aspetti negativi e gridano continuamente aiuto al Signore senza avvedersi che, contemporaneamente, perseguono un vivere religiosamente formale; agiscono pensando prevalentemente a sé stessi, al loro lavoro ai loro affari; ai loro passatempi; sanno di aver bisogno di Dio e a lui si rivolgono come i lebbrosi a Gesù, ma poi tutto torna come prima.
La riconoscenza e la gratitudine, in questo contesto, sono riservate per la salvezza nell'al di là e per gli eventuali benefici nell'al di qua; ma l'alzarsi ed andare secondo l'indicazione di Gesù è un imperativo che non trova luogo a risposta, semplicemente non è capito o peggio ignorato.
Per tutti coloro che invece sentono il bisogno di ringraziare il Signore con gioia gratitudine e riconoscenza ed accettano ed ubbidiscono all'imperativo: "Alzati e va'!" la Parola fornisce indicazioni e precisazioni; ne citerò tre.
Riconoscenti di far parte di un solo Corpo
"La pace di Dio alla quale siete stati chiamati per essere un sol corpo, regni nei vostri cuori e siate riconoscenti" (Colossesi 3:15).
La pace di Dio ha una finalità collettiva: essere in un sol corpo e vivere questa realtà con riconoscenza.
Chi è guarito (liberato, salvato) e riconoscente può vivere autenticamente in pace e in comunione nella chiesa del Signore, altrimenti no.
È un richiamo ed una indicazione a non intraprendere vie individualistiche; chi è salvato si rialza e va nella direzione indicata dal Signore; e qui l'indicazione è quella di essere legati strettamente l'un l'altro come le membra di un corpo fisico che coincide nella comunità dei credenti, nella chiesa del Signore.
L'individualismo: viene scambiato, erroneamente, con il senso di responsabilità personale nei confronti di Dio, del prossimo e della società secondo il principio della non delega della responsabilità ad autorità religiose o laiche; mentre nelle accezioni o accentuazioni religiose separatiste di tipo culturale o di esagerazioni spiritualiste del tipo "fatti in là io son più santo di te", corrisponde al semplice, quasi banale, ma virulento desiderio di affermazione di sé stessi nonostante, se non contro, gli altri; è negativo e controproducente ma soprattutto contrario in lettera e spirito alla vocazione di Gesù che fonda la Chiesa (Matteo 16:18) non su di me, su di te o su Simone figliuol di Giona ma su di Lui, perché solo in lui può realizzarsi la comunione fra noi; tale contrarietà si evidenzia anche nel dettato apostolico secondo il quale, nella parte che riferisce dei carismi (doni dello spirito), l'individualità è finalizzata unicamente al bene comune come complemento e mai come ansia di primato (1 Pietro 4:10, 11; 5:2, 3).
L'apostolo Paolo inoltre, rivolgendosi ai Corinzi, individualisti, presuntuosi, faziosi e partigiani, rivolge loro la domanda: "Cristo è forse diviso?" (1 Corinzi 1:13) e li definisce "carnali e bambini in Cristo" (1 Corinzi 3:1, 2), impossibilitati a ricevere il messaggio di pregnante contenuto spirituale.
Oggi chi e quanti sono in grado di riceverlo?
La tentazione è il pensare che siano sempre gli altri a dover correggere pensieri sentimenti emozioni e vita.
Riconoscenti nel culto e nel servizio
Il secondo passo lo troviamo nella lettera agli Ebrei: "Perciò ricevendo un regno, che non può essere scosso, siamo riconoscenti e offriamo a Dio un culto gradito con riverenza e timore" (Ebrei 12:28).
La riconoscenza è indicata come la condizione al gradimento di Dio del culto, del nostro atteggiamento personale e collettivo nel rivolgersi a lui nell'adorazione.
Ma il richiamo alla riverenza e al timore suona come monito per ricordarci che l'autentica riconoscenza la si dimostra nel servizio in obbedienza alle sue indicazioni; infatti, la Parola, più oltre così si esprime: "Non dimenticate poi di esercitare la beneficenza...perché è di tali sacrifici che Dio si compiace" (Ebrei 13:16).
Molti oggi ritengono troppo vincolanti se non oppressivi gli impegni nella comunità dei credenti; tutto, il più delle volte, si riduce al "culto" settimanale ed anch'esso vincolato nei tempi dalla logistica degli impegni "individuali"; con un minimo di obiettività si può osservare che il tempo e lo spazio riservato alla preghiera al servizio reciproco, al servizio verso i bisognosi e alla testimonianza individuale e collettiva è assai ridotto, in molti casi: al lumicino.
La molla propulsiva della gratitudine e della riconoscenza sembra scarica di energia; l'essere un sol corpo è diventato un concetto quasi evanescente, svuotato dalle teorie sulla Chiesa e sulle chiese che rappresentano ovunque il corpo di Cristo; quindi non solo qui ma anche là; ma ci si dimentica che se non si serve con fedeltà, gioia e riconoscenza qui non lo si serve neanche là; non è questione di luogo ma di volontà e di autenticità vocazionale al servizio.
Poniamoci una domanda: Siamo fermi, bloccati, nella speranza ed attesa della guarigione eterna, o siamo riconoscenti per la guarigione avvenuta che è la sola che porta con sé l'eternità?
In altre parole: Crediamo per ottenere o crediamo di avere ottenuto e perciò ringraziamo e serviamo?
E se diciamo di aver ottenuto ma non serviamo con riconoscenza "in un sol corpo" siamo in evidente stato confusionale e rischiamo di mentire a noi stessi e al Signore! Il "culto individuale" non è il fare ciò che ci aggrada bensì "offrire i nostri corpi in sacrificio vivente, santo gradito a Dio" (Romani 12:1).
Solo in questi termini il culto è autenticamente "spirituale".
"Alzati e va', la tua fede ti ha salvato!".
Ma perché non accettiamo tutti e sempre questo invito con entusiasmo?
Il germe dell'ingratitudine
l'Apostolo Paolo scrive: "...negli ultimi giorni verranno tempi difficili perché gli uomini saranno amanti di sé stessi,...avidi di denaro...ingrati..." (2 Timoteo 3:2).
È sempre più diffusa la conflittualità nella società e anche nelle chiese; sono i tempi del tutti contro tutti, (nonostante l'irenismo moralista e sincretista ecumenico); ognuno si sente solo creditore e non debitore nei confronti dell'altro; i diritti dei singoli, dei gruppi, delle chiese (nella società le chiamano: corporazioni e/o lobby) sono esaltati all'impossibile; mentre i doveri sono relativizzati se non ignorati; una sorta di cecità generale impedisce di vedere il male che si compie (anche involontariamente), ma anche il bene che il Signore continua fedelmente a manifestare nella sua pazienza e misericordia; si constata una sordità spirituale diffusa ai richiami che il Signore fa mediante la Sua Parola, letta poco, letta male ed in modo parziale e strumentale e, conseguentemente, poco o niente sensibili all'azione dello Spirito Santo che interroga continuamente le coscienze; qui sta il germe dell'ingratitudine odierna: non dare un autentico ascolto alla parola di Cristo (Romani 10:17) che richiama tutti (dico tutti) alla fede.
Dobbiamo sempre e soltanto ascoltare la Parola di Cristo unica speranza nell'oggi; parola che illumina sui benefici che riceviamo quotidianamente; che ci fa traguardare al futuro con serenità con fiducia e speranza di resurrezione che da consapevolezza della realtà della sua presenza con noi e in noi, spingendoci a ringraziarlo sempre con riconoscenza e gratitudine e ad obbedire alla sue indicazioni.
Conclusione
Una fede riconoscente e grata si esprime nel vivere ed agire nel corpo di Cristo, la Chiesa, mediante la cultualità ed il servizio reciproco e verso tutti; una fede attenta a non lasciarsi affascinare e coinvolgere dalle offerte mondane del deviante benessere immediato bensì pronta al servizio e a cogliere il grido del prossimo sofferente sapendo riconoscere in esso la presenza del Signore (Mt 25:34-46).
Gianpirro Venturini
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