Una delle parole di Gesù più dense di tenerezza e di attenzione al reale è il detto che segue l'annuncio dei fenomeni cosmici che accompagneranno la venuta del Figlio dell'uomo: “Dal fico imparate la parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina” (Mc 13,28)

 

La pietà non va dalla parte degli ebrei

Gli ebrei notano con rammarico che le vittime israeliane dei massacri di Hamas “non hanno diritto alla considerazione data dalle opinioni occidentali alle vittime palestinesi”. Stato sotto accusa da parte della comunità internazionale per il suo mancato rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite, Israele si sente e sa di non essere amato.

(dayFRitalian, 18 ottobre 2023)
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"Israele si sente e sa di non essere amato". E' proprio così, e si sapeva da molto tempo. Ma per chi ama Israele, sia egli ebreo o no, è sgradevole doverlo riconoscere ogni volta in un modo sempre nuovo. Che cosa sono i cortei filopalestinesi che proprio adesso, dopo quello che è accaduto, si è presa la briga di organizzare? Al di là di tutte le considerazioni politiche, che cosa emerge alla base di quello che hanno fatto i "miliziani" di Hamas il 7 ottobre? La risposta è semplice: odio. Puro odio verso lo Stato di Israele in quanto stato degli ebrei, e dunque odio verso gli ebrei. E' così difficile capirlo? Sì, è difficile per chi in qualche misura ne è partecipe. Perché non lo avverte, quindi non capisce perché mai lo si accusi di sentimenti così ignobili. Lui non odia gli ebrei, non è come i trogloditi di Hamas che sparano a vecchi e sgozzano bambini. Lui dice soltanto che però gli ebrei...
Marcello Cicchese


 

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Ap premiata per la foto dell’anno che ritrae il corpo di Shani Louk uccisa da Hamas: critiche social. Ma il padre non le condivide

Lo scatto con al centro la 23enne tedesca-israeliana mentre veniva portata via il 7 ottobre è di un reporter palestinese accusato di essere stato avvisato dai jihadisti

NEW YORK – L’immagine del suo cadavere martoriato e seminudo portato via dai terroristi di Hamas la mattina del 7 ottobre e poi esibito nelle strade di Gaza dai miliziani in parata come bottino di guerra, è diventato uno dei simboli della violenza di quella tragica giornata. Shani Louk, la 23enne tatuatrice tedesca-israeliana dal sorriso aperto e i lunghissimi capelli annodati nei dread era infatti una dei 260 giovani massacrati durante l’attacco al rave Supernova nel deserto del Nagev. La sua tragica sorte ha commosso il mondo. Ora però l’assegnazione di un prestigioso premio di fotografia a quello stesso scatto lo sta facendo indignare.

Le accuse ad Ali Mahmud

Il Reynolds Journalism Institute dell’Università del Missouri che si vanta di avere il concorso di fotogiornalismo più antico del mondo, ha infatti assegnato il premio per la categoria “Team Picture Story of the Year” – foto dell’anno scattate in squadra – all’Associated Press. Premiando una raccolta di 20 scatti, e fra queste anche immagini di Gaza in fiamme, aperte proprio da quella foto, terribile, del corpo della giovane Louk scattata appunto da un collaboratore di Ap: il freelance palestinese Ali Mahmud. Un reporter che in seguito è stato accusato da Israele di essere “embedded” con Hamas, di essere stato cioè preallertato dell’attacco e di aver avuto per quello l’occasione di scattare foto di scene terribili, insieme ad altri tre colleghi che poi hanno venduto gli scatti, oltre che ad Ap, a Cnn e Reuters. Contro di lui una causa è in corso, anche se ha sempre negato.

«Mi hanno svegliato i colpi, ho trovato la breccia aperta, sono uscito» ha infatti raccontato in seguito.

Dopo l’annuncio del premio, i curatori hanno pubblicato la foto sul sito web e sulla pagina Instagram del Reynolds: ricevendo però in poche ore migliaia di commenti negativi. Un’indignazione che ha fatto rapidamente il giro del mondo, viaggiando via social: “Un’oltraggiosa profanazione della vita ebraica”, ha dunque scritto un utente indignato su X. “Sono disgustato, scioccato infuriato che a questa immagine di Shani Louk assassinata sia assegnato un premio come foto dell’anno”, posta un altro. E ancora: “Questo è quanto valgono le donne israeliane per voi?”.

 

I responsabili del premio hanno dunque provato a difendersi: “Questa categoria mira a riconoscere lo sforzo collaborativo di uno staff fotografico nel coprire un singolo evento”, hanno scritto sul sito. “È una narrazione. Documentare le ultime notizie in tutto il mondo, non importa quanto orribili, è il nostro lavoro. Senza Ap e altre testate giornalistiche, il mondo non avrebbe saputo cosa stava succedendo il 7 ottobre”.

A rispondere, ci ha dunque pensato Hen Mazzig del Tel Aviv Institute Social Media Laboratory: «Le foto che mostrano violenza e morte possono essere degne di nota o importanti quando umanizzano i morti o galvanizzano il pubblico. La foto vincitrice di quel contesto non fa nessuna delle due cose; disumanizza Shani che non è nemmeno nominata, ritraumatizza la sua famiglia e legittima le azioni di Hamas con il pretesto della neutralità giornalistica».

La posizione del padre

Ma in realtà Nissim Louk, padre di Shani, sostiene esattamente il contrario: «Sono felice che lo scatto sia stato selezionato e premiato. È una delle immagini più importanti degli ultimi 50 anni. Immagine capace di plasmare la memoria umana. Pesa come quella del bambino ebreo con le mani alzate o dei paracadutisti al Muro del Pianto. Simboleggia un'epoca. Questa documentazione di Shani e il video di Noa Argamani portata via su una motocicletta sono i simboli di quella tragedia. Tra 100 anni, chi le guarderà saprà cosa è successo qui. Tutti diranno immediatamente questa era Shani».

Fonte: Repubblica

alex

L’autore inglese Lee Kern è andato in Israele a vedere i 45 minuti di ripresa dalle bodycam dei terroristi, dalle telecamere e dai cellulari delle vittime. Questi sono i suoi appunti

Pubblichiamo ampi stralci del resoconto che l’autore britannico Lee Kern (è uno degli autori di “Borat-Seguito di film cinema”) ha pubblicato su Substack.

Mi chiamo Lee Kern. Ho 45 anni. Sono uno scrittore di Londra. Dopo aver visto filmati di alcuni dei crimini commessi da Hamas contro i civili israeliani il 7 ottobre 2023, sono andato in Israele e ho chiesto il permesso di partecipare a una proiezione stampa con filmati che le famiglie hanno chiesto di rendere pubblici. Non è questo che voglio fare nella vita. Sono un civile. Sono un artista. Ho la mia salute mentale da proteggere. Ma è diventato chiaro che stiamo vivendo la negazione dell’Olocausto in tempo reale. Chi vuole distruggere Israele e serba rancore verso gli ebrei non è il mio pubblico: abbraccia un anti intellettualismo che rincorre obiettivi mendaci. Ma sono ancora convinto che il mondo civilizzato abbia un vantaggio su coloro che sono debilitati dall’odio e dal complottismo. Scrivo per loro, e anche per le vittime. Di seguito sono riportati gli appunti che ho preso durante la proiezione del filmato che dura quarantacinque minuti. E’ estremo fin dall’inizio, e lo diventa sempre di più. 

Di seguito sono riportate le descrizioni dei filmati girati dai terroristi di Hamas con le loro bodycam e i telefoni cellulari. Ci sono anche i filmati delle dashcam, delle telecamere a circuito chiuso e dei telefoni cellulari delle vittime.

Il filmato inizia quando Hamas entra dentro Israele. I miliziani sono su camion e moto. Gridano Allahu Akbar. Ancora e ancora. Allahu Akbar. I loro volti sono raggianti di gioia. Sono così felici.

I terroristi sono su una strada. Un’auto civile guida verso di loro. Iniziano a sparare. Sono tantissimi, in piedi sulla strada. Una lunga fila di uomini con i fucili che sparano contro un’unica macchina. L’auto danneggiata continua a muoversi, ma lentamente. Un terrorista fa un gesto con la mano verso il veicolo – quasi fingendo di essere un amico – chiedendo gentilmente di rallentare in modo che possa sparargli. Spara altri proiettili. L’uomo e la donna nell’auto sono morti. I loro corpi vengono tirati fuori e lasciati senza vita sulla strada.

Filmati di terroristi che sparano a un corpo a terra. I suoi pantaloni sono abbassati, le natiche nude.

Non c’è dubbio che questa sia una guerra contro i civili. Non ci sono militari israeliani. Coloro che vengono uccisi non sono tragicamente coinvolti in una sparatoria. Non sono il danno collaterale di un obiettivo militare giuridicamente accettabile. Uccidere civili è chiaramente l’obiettivo. Non è guerriglia. E’ omicidio di massa. Stiamo guardando una banda criminale di assassini che si scatena e che fa più morti possibile.

I terroristi hanno gli Rpg, i lanciagranate portatili, e sparano a un veicolo civile, che cerca disperatamente di tornare indietro, ma non ne ha la possibilità. Gli occupanti muoiono nella confusione totale. Si sente ancora Allahu Akbar.

I terroristi esultano sopra a un uomo morto e a una donna piena di fori di proiettile sulla strada. E’ come Spring Break per loro. Si divertono così tanto.

Una rotonda. Un veicolo in avvicinamento chiaramente non capisce verso cosa sta guidando. Vede gli uomini sulla strada e rallenta. Capendo che qualcosa non va, accelera per cercare di fuggire. Hamas lo insegue come in una caccia, sparando selvaggiamente. I civili vengono uccisi. Hamas tira fuori i trofei dalla macchina per vedere cos’ha catturato.

Hamas continua a tirare fuori dai veicoli le persone che ha ucciso e a buttare i corpi in strada. Tanti civili giacciono morti accanto alle loro auto. Non c’è motivo di tirare fuori un corpo da un’auto se non per renderlo più visibile. Vogliono che la gente veda la loro impresa. Sono orgogliosi e vogliono che il mondo sappia ciò che fanno. E’ la loro opera migliore, non vogliono nasconderla.

Un uomo e una donna morti sui sedili anteriori. L’uomo è accasciato sul volante. Il volto della donna è straziato, grottesco e di un colore orribile.

Filmati di terroristi al cancello di un kibbutz. Strisciano in posizione e furtivi si intrufolano in una comunità di famiglie. Uno di loro si nasconde in un cespuglio. Un’auto civile arriva al cancello. Il terrorista nel cespuglio si alza e spara con il fucile d’assalto più volte attraverso il finestrino laterale. L’uomo non muore sul colpo. Sembra che si guardi confuso e poi si divincola con i proiettili nel petto. Si gira verso la portiera, cercando di allontanarsi dalla direzione dei proiettili, ma viene ucciso da altri spari. I terroristi ora irrompono nel kibbutz.

I terroristi si appostano tra le case. C’è un’ambulanza parcheggiata. Sparano alle gomme per evitare che possa essere utilizzata. C’è un’attenzione incredibile ai dettagli per prendere quante più vite possibili. E’ quasi matematico – sono determinati ad aumentare il numero di morti da ogni posizione possibile.

Un cane in un giardino inizia a camminare verso di loro. Un terrorista spara. La camminata del cane è confusa, ma procede ancora verso i terroristi. Un altro sparo, cade. Il cane non sa nulla di bandiere o paesi. Era solo un cane.

I terroristi si intrufolano oltre le altalene dei bambini. Sono in un giardino. Hanno visto qualcuno all’interno della casa attraverso una porta aperta. Un terrorista spara un colpo. Si sente un terribile gemito di confusione. Si può dire che è una persona anziana.

Hamas si sta intrufolando in un giardino passando davanti a giocattoli e biciclette per bambini. Vanno a caccia di famiglie nelle loro case.

Un terrorista inizia a sparare su una casa. Un altro sbircia attraverso le finestre per vedere se c’è qualcuno all'interno della casa a cui stanno dando fuoco. Vediamo movimento dentro. C’è qualcuno.

Appunto per me: dobbiamo combattere.

Queste non sono zone di battaglia. Sono case di famiglia.

Hamas s’avvicina a una casa dove si sente della musica. Significa che c’è qualcuno dentro. Hamas entra, si muove lentamente con furtività militare all’interno di una cucina. Si avvicinano alla fonte della musica attraversando la cucina.

Un padre è in preda al panico all’interno della sua casa. Ha due ragazzini – di circa sette e dieci anni. Ne ha uno in braccio. E’ mattina presto, sono in biancheria intima. Si precipitano in giardino e si dirigono verso il rifugio. Credono che ci sia un attacco missilistico. Ora sono fuori dalla vista, nel rifugio. I terroristi di Hamas appaiono lentamente nell’inquadratura. Si avvicinano al rifugio. Lanciano una granata. Dopo un paio di secondi c’è un’esplosione. Il padre è gettato fuori dal rifugio e sbatte contro un muro. E’ morto per l’esplosione o per il colpo o entrambi. Dopo pochi secondi uno dei ragazzi emerge coperto di sangue, in mutande. E’ accanto al padre morto. L’altro ragazzo esce anche lui, in mutande, coperto di sangue. Uno dei terroristi spinge i ragazzi in casa. Li fa sedere sui loro divani. Urlano e piangono. “Aba! Aba!”, papà, papà. Il loro universo è il peggior universo appositamente progettato per loro. Il terrorista li lascia per un pochino. Uno dei ragazzi urla: “Hanno ucciso papà. Non è uno scherzo!”. L’altro risponde: “Lo so, ho visto”. Il terrorista torna dentro e apre il frigo. E’ uno psicopatico e offre loro dell’acqua. “Voglio mia mamma!”, piange uno dei due ragazzini. Il terrorista ha gli occhi spenti, scrolla le spalle e beve dalla bottiglia. Si rinfresca dal frigo del padre dopo averlo ucciso. Il terrorista esce. I ragazzi sono soli in quella che era una casa fino a due minuti prima e ora è stata trasformata in un universo di dolore. “Penso che moriremo”. Un fratello vede le ferite dell’altro: “Riesci a vedere dagli occhi?”. “No”. Il ragazzino che ancora ci vede grida: “Perché sono vivo!”. Le riprese successive mostrano la madre che arriva in giardino con due guardie di sicurezza del kibbutz. Si avvicinano con cautela al rifugio. Vede il marito che giace in mutande. Crolla, urla e diventa isterica. Le guardie di sicurezza cercano di trattenerla e di non farla collassare contemporaneamente. Cercano di attutire le sue urla. Il kibbutz è ancora sotto attacco.

Hamas prende i telefoni delle persone che uccide.

Un terrorista tira fuori una persona assassinata dal sedile anteriore della sua auto e lascia cadere il corpo nella terra. Poi sale in macchina, nel sangue di quella persona, e se ne va.

Una donna è in ginocchio in un asilo. E’ in una stanza vuota, senza mobili. Sbircia nervosa dalle finestre. Cerca di nascondersi pateticamente dietro le uniche cose a sua disposizione: alcune borse. Vediamo i terroristi di Hamas intrufolarsi nell’asilo. Si muovono con furtività militare in un asilo. Usano tattiche militari in un asilo. Usano tattiche militari per trovare la donna che cerca di nascondersi dietro due borse e spararle. Le setacciano le tasche e prendono il suo telefono. Poi sollevano il suo corpo sulle spalle e la portano via.

Appunto per me: dobbiamo lottare per le nostre vite

Sentiamo una comunicazione radio tra i terroristi di Hamas in Israele e i loro leader a Gaza:

“Siamo nel Kibbutz Nisim”
“Tagliate teste con i coltelli!”
“Allahu Akbar! Allahu Akbar!”
“Gioca con le loro teste! Fai delle foto! Mandamele”.

Un uomo ferito è sul pavimento del suo salotto accanto a una sedia. E’ sdraiato sulla schiena e ha del sangue sul petto. Gli uomini di  Hamas afferrano un attrezzo da giardino, una zappa. Cominciano a far oscillare la lama sulla sua gola e sul pomo d’Adamo. Dondolano di nuovo. Dondolano ancora, colpendo la gola. Tengono l’estremità più lontana del palo per ottenere la massima leva e potenza. Mentre tagliano la testa dell’uomo gridano: “Allahu Akbar! Allahu Akbar! Allahu Akbar!”. Sono così eccitati.
 
Il volto di una donna crolla per il numero proiettili sparati.
 
Una stanza con otto persone in un bagno di sangue dopo essere state colpite dai proiettili. E’ una minuscola camera da letto. Sono stipati lì dentro.
 
Case in fiamme. I terroristi si divertono come non mai. Uno di loro dà fuoco a un’auto usando una bomboletta spray e un accendino, come un vandalo adolescente.
 
I terroristi ridono e sorridono. Si scattano selfie. Provano un grande piacere. Ridono. Esultano. Per loro è un carnevale di sangue.  
 
Il cadavere di una donna. Una famiglia morta in casa. Labbra che si baciavano sono ora volti distrutti con crani rotti. Una donna di mezza età è morta, distesa a faccia in giù sul letto. Una persona morta è sul pavimento accanto al letto. Si vede un fiume di sangue dove è stato trascinato un corpo. Sangue denso. Congelato. Con grumi. Bolle. Una testa mozzata, tagliata. I denti sporgono. Le labbra si sono raggrinzite.
 
Un corpo carbonizzato alla brace. Un cane domestico ucciso in una pozza del suo stesso sangue sul pavimento del soggiorno. Un cadavere bruciato ricoperto di fuliggine. Una bandiera dell’Isis. Una donna morta nel suo bagno. Un bambino morto con il cranio fracassato.  Un bambino morto in mutande.  Un bambino morto con una maglietta della  Disney di Topolino. Un bambino morto. Un altro bambino morto.
 
Un bambino annerito dalle fiamme.
 
Labbra bruciate. Un bambino morto con addosso un vestito con delle farfalle. Mucchi di persone morte.  Un terrorista usa un telefono rubato a una delle vittime che ha ucciso. Chiama suo padre. “Ho ucciso degli ebrei, papà!”. Il padre risponde “Allahu Akbar!”. Padre e figlio legano nel modo più idealizzato possibile, per un omicidio. Il figlio chiede di parlare con la mamma. “Mamma! Ho ucciso degli ebrei!”. “Che Allah ti riporti in pace” risponde lei. Come un bambino entusiasta di mostrare ai genitori qualcosa che ha fatto a scuola, lui dice: “Guardate la mia diretta whatsapp! Guardate la mia diretta whatsapp!”. La maggior parte delle persone sulla terra difficilmente ricorderebbe un momento in cui si è emozionata come questa famiglia in questo momento.
 
 Una vecchia signora morta con le mutande scoperte. Persone morte. I loro occhi sono privi di vita o i loro volti sono collassati a causa dei proiettili.
 

Alcune ragazze adolescenti si nascondono. Si spaventano ogni volta che sentono una granata esplodere in lontananza. Singhiozzano e saltano con grida soffocate ogni volta che sentono un’esplosione avvicinarsi.
 
 
Una donna si nasconde sotto un tavolo in una stanza buia. Gli uomini di Hamas fanno brillare le torce nella stanza. Sono incredibilmente scrupolosi, si assicurano che nessuno sopravviva. Abbassano la torcia sotto il tavolo e la vedono. Lanciano una granata sotto il tavolo. Gridano “Allahu Akbar”. C’è un’esplosione. Lei urla per poco, poi smette.
 
 
Trovano un’altra donna nascosta sotto un tavolo al buio. I terroristi non si occupano subito di lei perché non rappresenta una minaccia per nessuno. Non è un soldato. E’ un civile. I terroristi parlano con calma tra loro. Indicano con precisione dove sono le persone da uccidere. Lo fanno con calma, perché non stanno combattendo contro dei soldati. Stanno uccidendo dei civili che non hanno nessuna carta da giocare in questa situazione.

Si sente una comunicazione radio di Hamas. Tutto questo viene orchestrato da Gaza. Non potrebbe accadere senza un’enorme infrastruttura. Si tratta di un’ondata di serial killer che hanno un’enorme rete di supporto e un quartier generale per dirigere i loro crimini. Catturano un israeliano. “Crocifiggilo”, è l’ordine che arriva da Gaza.
 
 
I terroristi si scattano selfie con i cadaveri. Mettono i piedi sul volto di un cadavere, come se fossero dei ragazzi che escono la sera. Si filmano mentre prendono a calci la testa di una persona morta. Ridono. Come un gruppo di amici che insieme programma un assassinio. 

A Gaza un cadavere viene trascinato fuori da un’auto. Ci sono incredibili festeggiamenti di gioia ed estasi. Una folla di palestinesi inizia a calpestare il cadavere. Lo calpestano sulla strada. Il civile non aveva nessuna difesa quando era vivo.  

Una ragazza terrorizzata viene prelevata da un camion a Gaza. E’ a piedi nudi, nella sporcizia. Indossa pantaloni della tuta  insanguinati intorno all’inguine e solo intorno all’inguine. Intorno c’è una folla di palestinesi. Suonano i clacson. Ci sono grida di Allahu Akbar – grida profonde e sentite di Allahu Akbar mentre la ragazza con i pantaloni insanguinati si ritrova sola nella città dei suoi stupratori. La folla grida Allahu Akbar e le auto suonano il clacson come se stuprare una ragazza fosse una vittoria nella finale della Coppa del Mondo.
 
Un concerto di musica. I giovani ballano. Si divertono. Subentra un po’ di incertezza. Sentiamo una ragazza dire: “Cosa sta succedendo?”. Taglio improvviso sulle persone che corrono. Una ragazza singhiozza. Si sente un rumore di proiettili. Gli adolescenti cercano di sfuggire al rumore dei proiettili. Alcuni riescono a raggiungere una fila di veicoli e cercano di nascondersi dietro le auto. I terroristi armati di Hamas li inseguono. Un adolescente cerca di scappare. Centinaia di ragazzi   corrono in un campo aperto. Sono come bufali braccati. I bambini corrono. I terroristi di Hamas li seguono con le mitragliatrici. Sparano su di loro.
 
Alcuni terroristi di Hamas sono in piedi vicino ai veicoli. Notano un individuo solitario sulla cresta di una collina che cerca di fuggire. Circa venti membri di Hamas lo inseguono. E’ così importante ucciderli tutti. TUTTI gli ebrei devono essere uccisi.  
 
I terroristi sparano ad alcune persone mentre si nascondono nei bagni chimici durante un concerto. E’ un metodo. Come fosse un lavoro. Uno alla volta vanno in ogni cubicolo e sparano attraverso la porta di plastica. Vogliono uccidere tutti gli ebrei possibili.
 
L’equipaggiamento che i terroristi hanno portato per uccidere i civili è sorprendente. Il denaro, il tempo, la logistica e il supporto operativo solo per uccidere dei ragazzi sono impressionanti. Si dice che ci vuole un villaggio per crescere un bambino. Ogni terrorista che preme un grilletto ha alle spalle l’equivalente di un villaggio. Non ci si può svegliare una mattina e commettere spontaneamente massacri come questo, in così tanti luoghi e su così vasta scala.
 

Una donna in lacrime tra spari ed esplosioni. Il rumore  dei proiettili. Adolescenti rannicchiati e nascosti con le lacrime nel cuore. Qualcuno è a terra accanto a un’auto. Si stanno fingendo morti. Una gamba si contrae. Un terrorista si avvicina e gli spara dei proiettili nella schiena. Corre per ucciderli con efficienza e intenzione. Vogliono un punteggio perfetto per uccidere gli ebrei. Zero ebrei lasciati in vita, questa è l’unica cosa accettabile per loro.
 
Grida di giubilo di Allahu Akbar. Ovunque. In ogni scena di morte. Allahu Akbar. Allahu Akbar.
 
Un corpo carbonizzato brucia a terra. La schiena brucia con fiamme basse. Un giovane uomo è intrappolato. Il suo volto è terrorizzato. Occhi selvaggi. Denti digrignanti. E’ in un gruppo di altri giovani intrappolati. I suoi denti battono in mezzo al suono dei gemiti dei feriti e dei moribondi.
 
Ci sono parti di corpi in una strada. Pezzi di carne umana.
 
Una donna è rannicchiata in un’auto. Una granata viene lanciata in un rifugio  pieno di giovani. Ostaggi feriti e sanguinanti vengono caricati sul retro di pick-up.

I terroristi si scattano selfie con i loro ostaggi. Mezzi vivi, picchiati o morti. I terroristi si scattano selfie   con i loro ostaggi. Ci sono corpi di ostaggi nel retro dei camioncini.  Gli arti si sovrappongono. Ci sono grida di Allahu Akbar.
 
All’interno di Gaza. Nel retro di un pick-up. Un terrorista siede con un ostaggio. Non si sa se sia viva o morta. E’ a faccia in giù con la testa in grembo. E’ stata spogliata. Ha solo il reggiseno. Non si sa se sia viva o morta. Il terrorista sta giocando con i suoi capelli. Guarda con noncuranza la folla che si sta radunando.   Una folla di palestinesi va verso il camioncino per sputare sul corpo della ragazza. Si scontrano e lottano tra loro per ottenere una buona posizione per sputare sulla ragazza a faccia in giù che non si muove. Uno dopo l’altro sputano, mentre il terrorista stanco accarezza i capelli della ragazza svestita a faccia in giù sulle sue ginocchia.
 
Una strada completamente distrutta. Auto dopo auto distrutte. Auto che sarebbero potute essere utilizzate per la fuga, deliberatamente distrutte. Questi non sono atti spontanei. Sono tattiche prese e studiate in anticipo. Sono atti pianificati intenzionalmente per garantire l’uccisione del maggior numero di ebrei. Sono atti  pianificati in anticipo per garantire che persone indifese abbiano ancora meno opportunità di sopravvivere.
 
Due corpi cotti alla brace. Sono così  cotti che potrebbero ridursi  in polvere. Un teschio umano   la carne bruciata è carbonizzato.   Ci sono cadaveri cotti ancora fumanti. Ci sono corpi che sembrano essere stati coinvolti in un’esplosione nucleare. Persone che si sono svegliate quella mattina si sono trasformate in carbone al tramonto.
E’ notte. C’è una fossa piena di corpi fumanti. E’  stata un’intera giornata di massacri.
 
Un corpo deforme e martoriato. Gli arti di una donna sono stati spezzati. Sono stati volutamente distorti. Le sue labbra sono state strappate via. I suoi denti sporgono senza senso. 
 
Una tenda piena di morti. I morti sono circa cinquanta.  Non ci sono abbastanza pagine per documentare ogni atto malvagio avvenuto oggi.  L’entità dei loro crimini. Hanno fatto tutto questo in un giorno. Immagina cosa potrebbero fare se avessero un intero calendario. Nessun ebreo esisterebbe se avessero tale potere.
 
Una ragazza morta. Una ragazza morta. Un’altra ragazza morta. Una ragazza morta con un buco profondo nel petto dove è entrato il proiettile.  Un corpo con le gambe spezzate. Un cadavere decapitato con un bavaglio in bocca. Un cadavere a faccia in giù con le mani ammanettate dietro la schiena.
 
Un corpo bruciato e annerito. E’ in una posizione strisciante. Le sue spalle sono sollevate da terra in una posizione strisciante.
 
Un camion pieno di cadaveri bruciati, fusi insieme in un unico ammasso. E’ stato implacabile. Pronunciavano il nome del loro Dio in un momento in cui la maggior parte delle persone dubitava che Dio esistesse.

Il Foglio 10 novembre 2023

alex

di David Elber

Un’altra drammatica conseguenza dell’eccidio compiuto dalle squadre della morte di Hama il 7 ottobre scorso, è  il graduale emergere di una equivalenza insopportabile e insostenibile, mettere la morte dei civili palestinesi vittime dei raid israeliani a Gaza sul medesimo piano dei civili israeliani trucidati da Hamas. Questa equivalenza è sia ipocrita che falsa, il suo unico scopo è unicamente quello di criminalizzare Israele equiparandolo ai terroristi palestinesi.  
   Secondo questa logica abbietta, non c’è distinzione tra la programmatica volontà di uccidere i civili e la morte di questi ultimi come conseguenza collaterale e sempre, purtroppo, inevitabile, di ogni guerra ma, conta solo il loro numero. Se il numero dei morti civili di uno dei due contendenti è più alto, si tratterebbe di quello che è moralmente dalla parte della ragione. 
   Proveremo a descrivere il perché e il come sono avvenute le uccisioni dei civili. Partiamo dall’eccidio perpetrato da  il 7 ottobre, senza eguali nella storia di Israele pur avendo la stessa dinamica di azione e reazione di innumerevoli episodi passati. 


   L’azione compiuta dai terroristi palestinesi di Hamas aveva un fine chiaro, lo sterminio di quanti più ebrei possibile. Questa azione di sterminio è stata accompagnata da atti di inumana crudeltà, ripresi dagli stessi esecutori a fini propagandistici, anche verso persone particolarmente indifese: bambini, neonati e anziani. Essi non sono stati colpiti a distanza perché si trovavano nei pressi di basi militari, ma sono stati uccisi casa per casa a sangue freddo: in pratica erano i civili stessi il vero obiettivo dell’azione. Sono stati omicidi volontari con l’aggravante della crudeltà, del sadismo e dello scempio.


   L’azione militare intrapresa da Israele, come quelle avvenute in passato, non ha unna intenzione omicida programmatica nei confronti della popolazione civile palestinese. I morti civili a Gaza sono causati del fatto che la popolazione è utilizzata volontariamente dai terroristi palestinesi, come scudo umano. A riprova di ciò, è facile dimostrare che quest’ultimi hanno disseminato le installazioni militari di comando, comunicazione, stoccaggio delle armi, depositi di esplosivi e rampe di lancio per razzi e missili, sia tra le case, gli ospedali, le scuole, le moschee, sia sotto terra tramite una rete di tunnel (di diversi chilometri) sottostante i centri densamente popolati. Inevitabilmente, una qualsiasi risposta militare in questo teatro di guerra provoca, e ha provocato, la morte dei civili.
   Israele è ben consapevole che i terroristi palestinesi, attuano questa forma di “protezione” dei propri centri militari tramite lo “scudo” delle abitazioni civili (modalità severamente vietata da tutte le convenzioni internazionali relative alla guerra), di conseguenza ha sviluppato, unico paese al mondo, delle tecniche di avvertimento per la popolazione al fine di evitare il più possibile il suo coinvolgimento. Le tecniche più utilizzate sono: avvertimento tramite chiamata telefonica nell’area che si andrà a colpire, oppure segnalazione dell’obiettivo che sarà colpito con un missile senza carica esplosiva per far allontanare i civili. Ovviamente, di questi avvertimenti, ne approfittano anche i terroristi per scappare sapendo con precisione cosa sarà colpito.


   Per il comando israeliano è più importante evitare al massimo le vittime civili, anziché, colpire in maniera più efficace i terroristi. Nessun altro esercito al mondo ha mai adottato tecniche simili in altri teatri di guerra, tanto è vero che, nelle accademie militari e nei centri di addestramento di molti paesi, le tecniche utilizzate da Israele sono studiate e prese a modello.


   Tutte le statistiche sui conflitti armati, rilasciate dal comando americano o dai paesi NATO, forniscono chiare indicazione del fatto che le azioni militari israeliane compiute a Gaza sono quelle che hanno prodotto il minor numero di morti civili rispetto a qualsiasi altra azione militare intrapresa dagli eserciti di tutto il mondo. Questi dati comprendono anche gli USA e i paesi della NATO, per i quali la priorità è  sempre quella di tutelare i propri soldati. Tra queste azioni militari si possono ricordare la Prima guerra del Golfo (sotto egida ONU) quella in Somalia (sotto egida ONU),  e di seguito in Serbia, Afghanistan, Iraq, Siria. Ognuna di queste operazioni militari ha causato un numero di morti tra i civili enormemente superiore, benché, la densità abitativa in ogni teatro  di guerra citato fosse molto più bassa di quella di Gaza. 

Quindi, accusare Israele di uccidere deliberatamente i civili, come fanno, invece, i terroristi palestinesi, è  falso in modo esorbitante.
   Il diritto internazionale su questo punto è chiaro, la totale responsabilità dei morti civili, se sono utilizzati come scudi umani, o semplicemente dimorano nelle immediatezze degli obiettivi militari, è esclusivamente di chi installa tali obiettivi tra la popolazione civile. Il solo fatto di svolgere azioni militari da installazioni ubicate tra le case, rende ipso facto, tali abitazioni legittimi obiettivi militari. In più, è utile anche ricordare che, il non utilizzare abiti riconoscibili (divise) da parte di milizie armate, soprattutto nei centri urbani, è una grave violazione delle leggi di guerra perché rendono indistinguibili le milizie dai civili disarmati, trasformando questi ultimi in possibili obiettivi militari.  
   Quanto esposto fino ad ora, non significa che “un morto vale meno di un altro” ma che le azioni e le motivazioni che hanno come conseguenza non intenzionale le uccisioni dei civili, sono moralmente diverse e non equiparabili a quelle che lo sono intenzionalmente, oltre che essere discriminabili tra legali e illegali. 


   Mettere sullo stesso piano chi ammazza a sangue freddo, volontariamente, e in modo efferato con chi, involontariamente, uccide delle persone perché si trovano nell’immediatezza di un chiaro obiettivo militare, è immorale e pericoloso. Pericoloso, perché se uno Stato non potesse reagire ad una strage per il fatto che l’avversario utilizzi la propria popolazione civile come scudo umano, non è assolutamente vero che la spirale della violenza cessi. È sicuro il contrario, si verificherebbero più attentati e più stragi perché il chiaro intento di organizzazioni criminali come Hamas è lo stermino, non il benessere della propria popolazione. Per quanto costosa in vite umane possa essere, una risposta militare adeguata ai crimini commessi da Hamas, deve essere la sua distruzione. 

(L'Informale, 18 ottobre 2023)

alex

Un video ripreso da una telecamera di sorveglianza a Sderot il 7 ottobre 2023 (giorno dell'assalto di Hamas in Israele) mostra chiaramente due veicoli Toyota con a bordo miliziani di Hamas armati che entrano in città. Una vettura civile israeliana nera, con a bordo due adulti e due bambini, incontra uno dei due pick-up, costringendo il conducente a frenare. 

I miliziani di Hamas aprono il fuoco contro l'auto e un uomo esce immediatamente dal veicolo con la figlia, mentre la madre si allontana con l'altro figlio nella direzione opposta. L'uomo si trova di fronte agli uomini di Hamas e protegge sua figlia facendo scudo con il corpo. I miliziani sparano, prima di allontanarsi. 

I soccorritori dei South First Responders affermano di non conoscere il destino dell'uomo. Dalle immagini, sembra che la figlia riesca a tornare al veicolo senza suo padre. L’ipotesi è che l’uomo abbia sacrificato la sua vita per salvarla.

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alex

In occasione degli 80 anni dal rastrellamento del ghetto di Roma parla Tatiana Bucci. Fu deportata da Fiume verso Birkenau il 18 marzo 1944
 

di Paolo Rodari

“Il 16 ottobre del ’43 eravamo ancora a Fiume. Nostra madre era ebrea. Cercava di proteggerci da tutto quanto stava accadendo intorno a noi. In famiglia in tutto eravamo in tredici ebrei. Alla fine della guerra ci salvammo soltanto in quattro. Ricordo i bombardamenti, le fughe nei rifugi. Ma anche le gite al mare, nonostante la guerra tutt’intorno. Poi arrivò il 28 marzo del ’44. Ci deportarono in otto a Birkenau. Gli altri vennero successivamente deportati a Bergen Belsen. Vennero i nazisti, ma anche due fascisti. È doveroso ricordarlo, perché è storia. Eravamo alleati e ci deportarono. Dovremmo imparare da quanto accaduto, invece troppo spesso non accade. L’antisemitismo è vivo ancora oggi, purtroppo, e il conflitto in Israele con bambini innocenti che perdono la vita è qui ancora a dircelo”.
   Tatiana Bucci vive a Bruxelles. In questi giorni è a Roma per partecipare alla marcia silenziosa per ricordare la deportazione romana avvenuta ottant’anni fa, il 16 ottobre del 1943, dal ghetto. Tatiana fu deportata poco dopo, da Fiume, assieme ai suoi famigliari, fra cui la sorella Andra, il cugino Sergio e le rispettive madri. Fu internata nella “baracca dei gemelli” perché il dottor Joseph Mengele notò che assomigliava alla sorella e le credeva gemelle.

- Come sopravvisse?
  “Arrivati al campo ci separarono dalle nostre madri. La capa della nostra baracca, che chiamavamo “blokowa”, forse perché ci aveva preso in simpatia ci disse che quando i nazisti ci avrebbero chiesto se avessimo voluto raggiungere i nostri genitori non avremmo dovuto rispondere ma rimanere ferme. Nostro cugino Sergio, purtroppo, non ci ascoltò, fece un paso in avanti e per lui fu la fine. Noi ci salvammo. Riuscimmo poi a resistere fino alla liberazione”.

- Quanti anni aveva quando arrivò a Birkenau?
  “Appena sei. Non ricordo tutto. Nel tempo ho poi ricostruito anche grazie al fatto che ho ritrovato mia madre viva per l’intercessione della Croce Rossa”.

- Quando sta accadendo in Israele quali sentimenti le suscita?
  “La morte dei bambini innocenti mi riporta alla memoria quanto avvenne allora. E ogni volta fatico anche a parlarne. Mio cugino venne deportato in un campo di Neuengammead, ad Amburgo, dove svolgevano alcuni esperimenti sulle ghiandole linfatiche e contro la tubercolosi. Era insieme ad altri diciannove bambini. Una volta effettuati gli esperimenti i bambini venivano sedati con la morfina e fatti morire. Coloro che non morivano, venivano appesi ai ganci dei macellai e fatti morire così. Vennero uccisi il 20 aprile 1945 a guerra quasi finita. Erano innocenti come lo sono i bambini morti in queste ore in Israele e come lo sono i bambini palestinesi che muoiono senza avere colpe. La storia si ripete e sembra che la lezione non venga mai appresa”.

- L’antisemitismo è vivo ancora oggi?
  “Purtroppo sì. Per Hamas, Israele non ha diritto di esistere. È un atteggiamento antisemita e nazista. Per colpa di alcuni fondamentalisti la popolazione innocente muore. Per questo parlo ancora, per questo cercherò anche io di far sì che a Trieste il nostro binario, da dove partivano i convogli per Auschwitz-Birkenau, diventi monumento nazionale come il binario 21 a Milano. La memoria non deve morire.”

- Il 16 ottobre 1943 dice anche del silenzio di papa Pio XII. Avrebbe potuto fare di più per gli ebrei?
  “Credo proprio di sì. Anche se gli archivi devono ancora essere studiati a fondo, credo che non abbia fatto tutto quello che avrebbe dovuto fare”.

- Pensa che testimoniare possa aiutare?
  “È l’unica cosa che possiamo fare. Eravamo duecentomila bambini sotto i dieci anni ad essere stati deportati. Siamo tornati soltanto in una cinquantina. Lo dobbiamo a chi non ce l’ha fatta”.

(RSI.CH, 16 ottobre 2023)

Inviato da alex il

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