Da 5 anni sono volontaria presso l’ospedale pediatrico Meyer di Firenze e più precisamente nel reparto di Oncoematologia.

Come è nata questa attività?

Vivevo in quel periodo una grande frustrazione data dal fatto che sapevo di avere dei doni da parte del Signore, ma nonostante fossi nata e cresciuta in una chiesa evangelica, sentivo che non li stavo adoperando o almeno non vedevo la possibilità di poterli esprimere all’interno della mia comunità per svariate ragioni.

Questo ha fatto sì che iniziassi un percorso di ricerca e preghiera con il Signore perché la frustrazione stava crescendo sempre di più.

Un giorno, in attesa davanti ad un ufficio, leggo su un anonimo giornale della città un minuscolo trafiletto dove veniva detto che un tal giorno sarebbe iniziato un corso gratuito di formazione per persone interessate a fare volontariato nell’ospedale pediatrico di Firenze.

Ho chiamato e mi sono segnata a questo corso di formazione che durava due mesi, concentrato nel giorno di sabato.

Premetto che non sono una che si butta facilmente nelle novità, ma in quell’occasione mi sono veramente sentita guidata a segnarmi al corso.

Ogni volta che condivido qualcosa riguardo a questa mia attività, dico sempre che valeva la pena anche solo seguire il corso che è stato interessantissimo e stimolante sotto molti punti di vista.

Una giornata impossibile da dimenticare

I sabati erano giornate piene (dalla mattina alla sera) ed erano guidate da medici, psicologi e vari operatori dell’ospedale pediatrico.

Alla fine del corso (saremo stati una quarantina di volontari) è arrivato il giorno che ci ha visti entrare per la prima volta nel reparto di Oncoematologia (ovviamente non tutti insieme ma scaglionati nel tempo) e cioè il reparto dove si curano bambini e adolescenti malati di leucemie e di tumori infantili.

Non dimenticherò mai quel giorno e lo stupore che ho provato nel vedere tutte quelle testoline pelate attaccate a macchine più grandi di loro, ma la meraviglia più grande è stata nel constatare quanti bambini si ammalano di tumore!

Dopo quel giorno almeno la metà delle persone che avevano frequentato il corso se ne sono andate, perché, eravamo stati avvisati, un conto è parlarne, un altro è vivere vicino a chi soffre e…sì tanti miei compagni di corso non ce l’hanno fatta.

Da quel momento è cominciata per me un’avventura che ha radicalmente cambiato il mio modo di vedere la vita e il Signore mi ha insegnato e mi sta insegnando lezioni fondamentali per me.

Grazie alla formazione ricevuta e all’aderire all’associazione “Noi x Voi” della quale appunto faccio parte come volontaria, sono potuta entrare in questo reparto dove nessuno può accedere a meno che non sia genitore del bambino malato, familiare molto stretto o personale ospedaliero.

Questo limite viene dal fatto che i bambini-ragazzi ricoverati vengono sottoposti a cure chemioterapiche che inducono nei pazienti bassi valori del sistema immunitario, con conseguente aumentata possibilità di essere contagiati da qualsiasi altra banale malattia. Anche un semplice raffreddore o mal di gola può essere loro fatale.

Infatti se un volontario non è in perfetta salute sa che quel giorno deve saltare il suo turno di visita perché metterebbe in pericolo i pazienti ricoverati.

In ospedale e a casa

I volontari della “Noi x Voi” possono scegliere fra essere volontari di reparto o essere volontari domiciliari.

Nel primo caso si frequenta il reparto una volta alla settimana per due ore, la sera, per far visita ai ragazzi ricoverati e dare un po’ di sollievo ai loro genitori che, se lo desiderano, possono così uscire o comunque allontanarsi anche per breve tempo dalla stanza nella quale stanno rinchiusi per giorni interi, avvolti da un dolore molto grande.

l volontariato domiciliare comporta invece l’affidamento di una specifica famiglia da seguire in tutto il percorso di assistenza del loro figlio, che normalmente dura dall’anno in su. Quest’ultimo tipo di lavoro è ovviamente molto più coinvolgente rispetto al reparto, dove abbiamo la possibilità di incontrare un maggior numero di pazienti, ma in modo più fugace e superficiale.

Il volontariato domiciliare permette di instaurare con la famiglia un rapporto molto più intimo e stretto, tale da portare ad una significativa condivisione di tanta sofferenza.

Io ho scelto di essere una volontaria domiciliare quasi da subito perché sapevo di preferire i rapporti a lungo termine, quelli dove c’è la possibilità di costruire qualcosa di duraturo, ma…certo non sapevo bene a cosa stavo andando incontro.

 Esperienze totalmente coinvolgenti!

In questi cinque anni ho avuto il grande privilegio di vivere a stretto contatto con cinque famiglie che hanno arricchito la mia vita in modo indescrivibile.

L’età di questi cinque ragazzi-bambini era fra i 4 e i 18 anni e…purtroppo devo dire che solo uno fra questi cinque è ancora in vita…

Questo significa che con quattro di queste cinque famiglie ho fatto un percorso quasi giornaliero che si è concluso con la perdita più terribile per un essere umano e cioè la perdita del proprio figlio. Ho vissuto con queste famiglie tante ore delle mie giornate.

Ho imparato che la vita di queste famiglie dopo una diagnosi così terribile praticamente si ferma. Spesso vengono sradicati dalla loro città e dalla loro casa.

A volte la famiglia viene separata perché, se non sono di Firenze, semmai qui arriva la mamma con il figlio malato (dove – ricordo – resteranno per un anno ma anche di più) mentre il padre resta a casa con gli altri figli e con il lavoro da portare avanti (anche qui ci sarebbe tanto da dire sulle immense difficoltà pratiche-emotive di chi deve restare a casa lontano dal figlio malato, cercando di gestire tanti altri problemi con i quali semmai non si era mai interfacciato prima).

Iniziano problemi anche economici, perché raramente ho incontrato famiglie agiate in queste situazioni e quindi si perde il lavoro, a volte la casa. Insomma potete immaginare quanti problemi ruotano intorno a queste situazioni.

Quello quindi che ho fatto negli anni per queste famiglie sono state tante cose pratiche anche perché arrivano in una città che non conoscono, vengono messi in appartamenti che l’Associazione mette a loro disposizione e devono in qualche modo iniziare una nuova vita in un posto che non hanno scelto, dove non conoscono nessuno e nella più completa disperazione.

Il valore di essere HNTO anche senza parlare!

Il volontario diventa quindi una delle poche ancore alla quale sanno di potersi aggrappare, diventa la persona a loro disposizione per qualsiasi tipo di necessità.

In questi anni ho quindi avuto la possibilità di vivere tanti momenti con queste famiglie, ci sono state delle volte che ho solo lavato la montagna di piatti che si era accumulata in quella casa a causa della disperazione, altre dove siamo andati insieme a fare la spesa o a sbrogliare una delle tante pratiche burocratiche che ruotano intorno a queste storie e…a volte ho avuto anche l’opportunità di parlare, ma… credetemi che essere lì contava molto di più di tante mie parole.

All’interno di questi cinque percorsi, in modi diversi perché ogni famiglia aveva esigenze ed estrazioni culturali diverse, ho imparato una lezione fondamentale per la mia vita: troppo spesso noi credenti crediamo che “testimoniare Cristo” significhi “parlare”.

Crediamo che “essere testimoni” implichi principalmente poter raccontare a parole quello che Dio ha fatto per noi, come siamo arrivati a lui ecc...

Ma il Signore mi ha messo a testimoniare di lui proprio in un posto dove le parole devono essere pochissime e molto ponderate.

Come fai a dire a dei genitori che vedono il proprio figlio soffrire in modo indicibile giorno dopo giorno (perché le cure chemioterapiche sono difficilissime da sopportare, provocano fortissime nausee, vomito, mucositi nelle parti più delicate della persona e quindi grande dolore e tanto altro), che sono impotenti davanti al loro piccolo dilaniato da tanta sofferenza e che sanno benissimo che alla fine di quel tunnel incredibile potrebbe anche non esserci la guarigione, ma la morte... come fai a dire loro che Gesù li ama? Come fai a dire ad una mamma,che sta cercando di riscaldare le manine del suo piccolo che se ne è appena andato... che Dio la ama?

Una fede provata cresce e si esprime in un amore fatto di azioni concrete

Vi confesso che in alcune occasioni che ho ben presenti nella mia mente e che non potrò mai dimenticare…la mia fede è stata messa a dura prova, ma grazie a Dio per questo perché attraverso quei terremoti interiori la mia fede è cresciuta e si è rafforzata e sto imparando che essere testimoni di Dio ha molto più a che fare con l’essere che con il dire.

La mia fede con queste persone si è espressa in modi molto concreti e in quel momento sapevo di essere la mano di Cristo, la sua carezza, le sue braccia che stringevano, le sue lacrime.

È stato in quei momenti che allora ho ricevuto forse qualche domanda anche se credetemi molto scomoda.

È stato allora che c’è stata la possibilità di parlare di Dio sempre con molta delicatezza e di dire qualcosa ad una madre che gridando di dolore e in lacrime mi chiedeva perché, perché Dio la stava punendo così, cosa aveva fatto di male, lei che aveva sempre aiutato gli altri, che si era sempre messa a disposizione dei più deboli, che andava sempre in “chiesa”…perché ora Dio le aveva portato via il suo amato figlio di 18 anni dopo due di sofferenza inenarrabile?

Nessuno di noi ovviamente ha risposte certe e preconfezionate a queste domande e ringrazio Dio perché la difficoltà di quelle circostanze mi ha fatto capire ancora meglio quanto poco noi possiamo fare se non ESSERCI, STARE CON.

La conferma che il messaggio dell’esserci è più forte di tante parole mi è anche venuta da un messaggino che ho ricevuto solo poco tempo fa dalla mamma di Giacomo, un meraviglioso bambino di quattro anni che tre anni fa se ne è andato.

Questa famiglia ha abitato in un appartamento che la mia chiesa ha messo a disposizione del Meyer per circa un anno e mezzo.

Io ero la loro volontaria e la chiesa sapeva che se qualcuno voleva affacciarsi per portare una torta, un po’ di frutta o qualsiasi altro pensiero lo poteva fare non andando molto oltre, perché i valori di Giacomo erano sempre troppo bassi e poche persone dovevano entrare.

Proprio qualche giorno fa lei mi ha scritto:

“Vi voglio bene come sempre e sempre siete nei miei ricordi e pensando all’amore, voi e Vigna Vecchia giungete e allora credo ed ho fiducia…voi siete stati tutti la mano di Dio e quando sopraggiunge lo sconforto, il pensiero dei fratelli di Vigna Vecchia diventa la carezza, la consolazione, la possibilità di respirare oggi come allora quando manca l’aria”.

Questo è quello che arriva alle persone quando CI SIAMO. Quando decidiamo di voler percorrere davvero un pezzo di strada con chi il Signore ci mette vicino.

Provate a rileggere i numerosi passi del Nuovo Testamento, riscoprendo quanto volte il Signore ci invita a fare azioni concrete che mostrino la nostra fede; uno fra tanti lo troviamo in 1Giovanni 3-18: “Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità”.

Certo “amare con i fatti” implica una bella dose di sofferenza che ci viene richiesta di portare, ma credetemi ne vale la pena, non perché noi siamo bravi e abbiamo tanto da dare, ma perché il Signore ha tanto da insegnarci!
 
Laura Brandoli Franca
(Assemblea di Firenze)  
 
 
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Inviato da alex il

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