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Per i media Israele ha torto anche quando ha ragione


I palestinesi sono sempre vittime. Ma nessuno chiede loro conto dell'odio che seminano.

di Fiamma Nirenstein.

Anche quando la ragione grida e gli eventi parlano da soli la stampa internazionale, serrata in un automatismo coattivo, con noiosa, stanca ripetitività cerca e trova la strada di dare ragione ai palestinesi. Qui gli eventi sono palmari: sulla scorta di una menzogna ripetuta fino all'ossessione dai media palestinesi, ovvero che la Moschea di Al Aqsa sta per essere dissacrata, anzi distrutta, anzi occupata dagli israeliani, un risveglio di odio palestinese ha fatto di Israele, e specie di Gerusalemme, un inferno punteggiato da attacchi terroristici. Per la strada chiunque incontri può nascondere un coltello e colpire te e i tuoi bambini. Oppure puoi viaggiare in macchina ed essere fronteggiato da un'auto che corre verso di te a tutta velocità per fungere da lancia pietre. E poi ci sono i cacciavite, le bombe molotov, e da ieri c'è anche la minaccia dei terroristi sucidi: una donna, fermata a un check-point vicino a Maale Adumim, sulla strada di Gerusalemme, al grido di "Allah è grande" si è fatta saltare per aria, ora è all'ospedale. Se fosse arrivata a un caffè di Gerusalemme chissà cosa sarebbe successo.
Da Gaza il leader di Hamas, Ismail Haniyeh invita i giovani a unirsi al terrorismo, e quando a centinaia (qualche decina è riuscita a entrare) si precipitano sul confine e l'esercito li respinge ci scappano i morti. E' biasimo internazionale, e nessuno spiega il rischio che centinaia di giovani di Hamas, mentre oltretutto da Gaza partono i razzi, infliggono alla gente di Israele. Così come quando la polizia o qualche cittadino ferma un terrorista armato: certo, non hanno tempo di valutare la sua età o la sua condizione sociale, ma cercano di fermarlo per impedire un altro omicidio. Mancano nei media le coordinate fondamentali per capire: Israele è un Paese spaventato, sotto assedio; i social network palestinesi sono impegnati a criminalizzare gli ebrei secondo stereotipi impresentabili. L'incitamento a colpire idealizza gli shahid e condanna a morte gli ebrei.
   D'altra parte, se uno sente la radio israeliana ascolta una discussione accorata, priva di odio, con molte voci dalla parte dei problemi dei palestinesi, preoccupate, nelle interviste a politici e militari di riabilitare la leadership e portarla al tavolo delle trattative. Essere un giornalista che copre la vicenda mediorentale da molti anni è sinonimo di vicinanza alla "causa palestinese" e anche questa volta i conti devono tornare. Israele alla fine deve risultare responsabile del sangue, lo sfondo deve esser quello della sofferenza dei giovani terroristi, ignorando le responsabilità della leadership palestinese; l'occupazione è il facile leit motiv di fondo, anche se Arafat prima e Abu Mazen poi hanno rifiutato molte proposte di concluderne la vicenda e la formula"due stati per due popoli" è stata erosa dalla certezza di riuscire a cancellare lo Stato d'Israele. La manipolazione è audace. Sul New York Times un titolo diceva sull'assassinio di Alexander Levlovich "Un ebreo muore quando una pietra colpisce la sua auto". Sempre sullo stesso giornale "Polizia e giovani palestinesi si scontrano" e non si sa perché; forse la polizia era nervosa. La BBC ha scritto "Un palestinese ucciso dopo che un attacco (uno qualunque ndr) a Gerusalemme uccide due persone". Un titolo scandaloso per la famosa rete inglese che infatti l'ha poi modificato.
Due giorni or sono, poi, da molti titoli anche in Italia non era possibile capire come mai "sette palestinesi"fossero stati uccisi, e di nuovo lo scontro era colpa di Israele.
   Si riporta senza discuterla la tesi delle Moschee minacciate, si esprime comprensione per la "mancanza di speranza"dei palestinesi attribuendone la responsabilità a Israele. Nessuno si avventura alla ricerca del perché, per esempio nel rifiuto di Abu Mazen a accettare l'invito di Netanyahu a trattare senza precondizioni, nella corruzione dei capi, nell'incitamento sfrenato a odiare gli ebrei. Si mette da parte tutto ciò ch e è contraddittorio rispetto all'immagine conformista dei cattivi contro gli oppressi dall'imperialismo creato dalla Guerra Fredda. Siamo ancora là, mentre l'islamismo avanza.
   
(il Giornale, 12 ottobre 2015)

Inviato da alex il

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